Napoli innamorata

Considerazioni sulla città, dagli input di Matilde Serao

    di Maria Regina De Luca

Sarà anche una città difficile, dalla vita non sempre tranquilla, anche perché i suoi millenni non le sono passati addosso immunemente, ma è pur sempre una città capace di adattarsi al cambiamento, al revisionismo storico e culturale delle sue presunte glorie, alle accuse di oleografia e di manierismo contro la sua bellezza anch’essa in discussione, non sul suo esservi, ma sul suo effetto soporifero e assolutorio… Insomma, tutto è da rifare, da rivedere, da correggere, ma niente si fa né tantomeno di rifà e nulla si rivede e tantomeno si corregge, anzi, si tira a camopare (si fa per dire): e di fronte a tanta resistenza e duttilità vien fatto di chiedersi: ma da dove attingono la forza e il coraggio questi napoletani? Hanno promesso loro uno sventramento, e molte delle viscere sono rimaste dentro dopo l’intervento come le pinze di un chirurgo distratto.Tutto quanto gli si prospetta si ritorce loro contro o si palesa inutile. Non è nemmeno il caso di elogiarli per la loro capacità di resistere ai soprassalti della fortuna avversa. Perché “questo popolo nel cui sangue s’incrociano e si fondono tanto gentili poetiche, ardenti eredità etrusche, arabe, saracene, normanne, spagnole per cui questo ricco sangue napoletano si arroventa nell’odio, brucia nell’amore e si consuma nel sogno” si concede periodicamente di fantasticare sulla sua sorte convinto di poterla cambiare.

Come? Seguendo una speranza di vittoria non sua, ma di un complesso di numeri che, uniti in un certo modo, questa vittoria possono addirittura garantirla mentre possono venir sparigliati da un impedimento inaspettato e far morire il sogno di quelli che vi avevano scommesso. A volte questo sogno assume il peso dell’idea fissa di cervelli infocati, disposti a seguirlo ovunque esso possa realizzarsi. Darebbero il guadagno di un mese per questa emozione, a volte s’indebitano, sottraggono dal bilancio familiare le somme appena sufficienti per i bisogni primari sostituendo a essi il sogno di vittoria che si allarga, esce dai confini della vita reale e si sostituisce alla realtà, si espande oltre i confini del pensiero, perfino della città… E pochi riescono a sfuggire al suo incantesimo perché tutte le classi sociali sono contagiate, dal popolo basso all’aristocrazia, anche se il sogno del primo è ben più credibile e giustificato.

Perchè il popolo napoletano “ama l’aria aperta,eredità orientale, ma nei vicoli non ha aria. È innamorato del sole e dei colori gai, e vive nella tetraggine di fondaci; per la memoria della bella civiltà greca ama i bianche portici che si disegnano nell’azzurro”, ma nei bassi non ha che il suo sogno di felicità e di speranza nella vittoria di una squadra di numeri, per seguire i quali sarebbe disposto a tutto. Quando il sogno s’incrina, la delusione è enorme ma il giorno dopo si ricomincia a sperare, senza sentirsi mai traditi.

Queste note sono tratte da Il ventre di Napoli, Il gioco del lotto. Matilde Serao, 1906. Che cosa avevate capito?





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