Un bevanda divina

Da Dioniso a Eduardo, spunti e suggestioni sul nettare degli dèi

    di Amedeo Forastiere

Nell’anno appena passato il clima non è stato l’alleato fedele per la produzione del nostro buon vino. Le cause principali sono state la siccità e il forte calore. La mancanza di pioggia ha spinto a raccogliere i grappoli con un anticipo di circa dieci giorni rispetto a quanto accadeva dal 2007. Anche se ci sarà un calo del 15-20% sulla normale produzione, c’è da rilevare un aspetto positivo: l’annata 2017 sarà sì col segno “meno” nei volumi, ma regalerà un “più” agli acini, sani e dall’alto profilo qualitativo. Se da un lato i vigneti sono stati messi a dura prova, stressati, dalla siccità perdurante, dall’altro lato, guardando il “bicchiere mezzo pieno”, proprio la scarsità di acqua ha portato sviluppi interessanti in agronomica, favorendo la quasi assenza di fitopatie, come peronospora e oidio, un netto calo dei trattamenti fitosanitari e una gradazione zuccherina in media più elevata. Questo si traduce in un conseguente risparmio nei costi per i produttori e la possibilità di raccogliere uve in perfetta salute. Una buona annata si prospetta per le aziende del Consorzio vini Vesuvio Dop.

Da quando l’uomo produce il vino? Si potrebbe dire da sempre, perché sono stati trovati reperti archeologici risalenti diversi millenni a.C. Tutt’oggi è sconosciuta la patria di origine e non siamo ancora riusciti a determinare se le viti, Vitis Vinifera sativa, discendono dalla vite Silvestre, pianta selvatica primordiale che cresceva a dismisura, con tronchi molto robusti e selve di tralci che avevano le dimensioni di veri e propri rami. Per le origini ci affidiamo alla leggenda che, prendendo spunto dalla Bibbia, attribuisce l’invenzione del vino a Noè, protagonista della prima famosa “ubriacatura” che destò apprensione (e ilarità) nei suoi figli Sem, Cam, Jafet. A difesa di questa discutibile tesi ci sono i primi documenti che parlano di vino. Questi fanno capo alla Transcaucasia (tuttora zona vinicola) località antica nei pressi del monte Ararat, il mitico dell’Arca. Dalla Transcaucasia la vite sarebbe passata nella Tracia settentrionale diffondendosi nella costa mediterranea per opera dei Fenici.

Per quanto riguarda l’Europa, la Grecia è in primo piano nella produzione vinicola. I primi documenti, scoperti a Plios e a Creta, risalgono a quattordici secoli prima di Cristo. In seguito troviamo il vino in un posto d’onore nelle opere di Omero che paragona il mar Egeo al “vino scuro” nell’Odissea. In questo periodo il vino pregiato era destinato ai nobili detentori del potere politico, che erano soliti prendere decisioni in assemblee, dove era norma bere in compagnia. Qui, cari futuri sommelier, entra in ballo il vostro progenitore: il “cerimoniere”. Egli era, infatti, l’addetto alla cantina, all’apertura dei pithoi (grandi giare in uso per conservare il vino) e alla determinazione della quantità di vino da dare ai commensali, queste due ultime funzioni erano fondamentali per evitare pericolose ubriacature quando si doveva prendere decisioni importanti.

Grande importanza fu data al vino dalla mitologia, la quale gli destinò una apposita divinità: Dionisio (chiamato in seguito Bacco dai romani, che in greco significa clamore, baccano), il figlio più piccolo di Zeus. Egli, secondo la leggenda, soleva riposare nell’Olimpo sotto il fresco di una pianta particolare. Quando dovette scendere sulla terra, si era talmente affezionato a quest’albero, che decise di portarselo dietro e con suo grande stupore scoprì che nel mondo degli uomini produceva un frutto a grappoli, i cui chicchi erano molto buoni e bastava spremerli e lasciarli fermentare per ottenere un liquido che era un vero e proprio nettare degli dèi. Avrete sicuramente capito che la pianta in questione era la vite e Dionisio, scopertene le potenzialità, si propose di farla conoscere al mondo intero, diventando un vero e proprio missionario del vino.

Per quanto riguarda l’Italia, ci sono diverse teorie sull’insediamento della vite. Una di queste è che a importarla sia stato Enotrio, pioniere greco che colonizzò quella parte della nostra penisola, oggi corrisponde alle regioni della Basilicata e della Calabria. In quelle zone piantò le prime barbatelle provenienti dall’Egeo che poi si diffusero in Sicilia, Puglia, Campania, Toscana, Lazio e nell’antica Rezia, territorio che comprendeva Trentino-Alto Adige, basso Veneto e la Valle d’Aosta.

L’impero romano, nel suo espansionismo, carpì le malizie enotecniche ai suoi popoli sottomesi, producendo un buon vino in quasi tutta l’estensione del proprio territorio, portando così la vite dove non era conosciuta, in zone che saranno in seguito in primo piano nell’enologia mondiale, come la Francia. Quasi tutti i più famosi vini francesi hanno avuto fra i loro lontani padrini dei vignaioli romani al seguito delle legioni di Cesare.

Non dobbiamo dimenticare che, quando i romani erano già molto civilizzati, i galli erano ancora un popolo di nomadi e non possedevano né la volontà, né il temperamento, né le cognizioni tecniche per dedicarsi alla coltivazione dei vigneti.

La vite superò senza traumi la caduta dell’Impero Romano. Ad assicurare la continuazione ci pensò la Chiesa, la quale non solo impiantò vigneti accanto alle abbazie e ai conventi, ma istituì delle scuole di enologia vista l'esigenza di avere vino “schietto” per la celebrazione della messa e proseguire la tradizione dell’ultima cena, quando Gesù, prima prese il pane, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: Prendete e mangiate; questo è il mio corpo. Poi prese il calice e dopo aver reso grazie, lo diede loro dicendo: Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati. Il vino, dunque, ha avuto sempre un ruolo importante, da Dionisio che lo volle come nettare degli dèi a Gesù che lo nominò “suo sangue” offerto per la salvezza degli uomini. 

Anche nella tradizione ebraica ha un forte significato ed è elemento importante della liturgia religiosa. Il vino, preferibilmente rosso, assume particolare rilevanza per la celebrazione del sabato ebraico (Shabbat). La santificazione del Sabato trova il suo fondamento in un comandamento del Pentateuco, i cinque libri che costituiscono la Torà. L’insegnamento per eccellenza, la cui composizione è attribuita direttamente a Mosè.

Vi sorprenderò dicendovi che gli arabi prima dell’Islam furono grandi consumatori di vino. Fu Mohamed, con l’avvento dell’islamismo, a bandirlo dalla tavola dei fedeli. Così da allora per i musulmani il vino è considerato un tabù. In genere tutte le bevande alcoliche lo sono, perché conducono ad uno stato di ebbrezza che allontana il fedele dal suo continuo rapporto con Allah. Nel Corano è scritto che il fedele deve pregare cinque volte al giorno, l'alcool certo può distrarlo dagli obblighi della preghiera.

Il vino a me piace chiamarlo nettare degli dèi, fa più chic. È stato sempre protagonista. Che sia nell’alta società, nei raffinati ricevimenti, dove si gareggia a chi offre il “nettare” più pregiato (l’annata fa la differenza, anche se molto costosa, per i ricchi non è un problema) o alla tavola del poveraccio, che la sera si rintana nella piccola trattoria, davanti al vecchio fiasco rivestito di paglia, e tra un bicchiere e l’altro immagina un futuro migliore, o dell’innamorato abbandonato che non ce la fa a prendere la vita come viene e cerca di addormentare la verità con un bicchiere di vino.

Molti poeti hanno scritto versi e aforismi sul vino.

Nessuna poesia scritta da bevitori d’acqua può piacere o vivere a lungo. Da quando Bacco ha arruolato poeti tra i suoi Satiri e Fauni, le dolce Muse san sempre di vino al mattino. ( Quinto Orazio Flacco – 65 a.c.)

Il vino eleva l’anima e i pensieri, e le inquietudini si allontanano dal cuor dell’uomo. ( Pintaro – 518 a.c.)

Ella mi mescé il vinoinebriante col solo suo sguardo ed or con la coppa ed or con le sue labbra, e le corde del suo liuto mi esaltavano come udissi sulle corde dei colli fischiare la melodia delle spade. Elle schiuse la veste su un corpo qual tenero ramo di salice, così come il boccio si apre dischiudendo il fiore. ( Muhammad al-Mu’tamid – Marocco 1040)

Quel nettare che piaceva tanto a Noè, Dionisio, ai romani e ai preti, dà anche il coraggio a chi non lo trova nella quotidianità, si dice:’O barbiere tè fa bello, ‘o vino tè fa guappo.

 

Da fedele napoletano e nel pieno rispetto per Orazio, Pindaro, Muhammad al-Mu’tamid, vi lascio con una poesia di Eduardo de Filippo che è tutta dedicata all’amore per il vino…il nettare degli dèi.

Dint’ a butteglia n’atu rito ‘e vino è rimasto…Embè che faccio m’‘o guardo?

M’’o tengo mente e dico, “Me l’astipo e dimane m’’o bevo?”

Dimane nun esiste. E ‘o juorno primma, siccome se n’’e gghiuto, manco esiste. Esiste sulamente stu mumento ‘e chistu rito ‘e vino int’ ‘a butteglia. E che faccio m’’o perdo? Che né parlamm 'a ffà!

Si m’’o perdesse manc’ ‘a butteglia me perdunarria. E allore bevo…E chistu surz’ ‘e vino vence ‘a partita cu l’eternità.

 

Alla prossima ragazzi.





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