Licenziato via WhatsApp

I giudici: per il recesso è valido anche un messaggino

    di Adelaide Caravaglios

Oggigiorno tutto corre veloce: se vuoi comprare qualcosa, ma non hai voglia di uscire di casa e fare una passeggiata, puoi andare su Internet e con un click acquistare l’abito che desideri; se vuoi dire qualcosa ad un amico e ritieni che la telefonata sia “antica” o la mail troppo lenta, puoi mandargli un whatsapp. Insomma si corre in tutto e siamo talmente immersi in questa corsa quotidiana che neanche ce ne rendiamo conto: persino la giustizia sembra si sia adeguata alla quasi ormai ‘vitale’ esigenza di celerità, finendo con il legittimare un licenziamento comunicato al lavoratore via Wp: è quanto emerge da una sentenza della sezione lavoro della Corte di Appello di Roma dello scorso aprile.

Secondo il collegio giudicante, infatti, il recesso via Wp deve ritenersi efficace in quanto rispettoso di quanto disposto dalla legge vigente sul punto [la L. n. 604/66 recante norme sui licenziamenti individuali (aggiornata alla L. 92/12)] la quale, all’art. 2, parla di “comunicazione” e non di “notificazione”, termine – quest’ultimo – più tecnico rispetto al primo, con la conseguenza che sarebbe sufficiente la comunicazione in forma scritta (e non la notificazione) per informare di un licenziamento, a nulla rilevando il supporto cui il datore di lavoro (nel caso di specie un’azienda) affida la notizia.

In altre parole, il messaggio inviato tramite applicazione messaggistica Wp deve ritenersi valido strumento di comunicazione, a fini giuridici, ben potendo essere ricevuto dal destinatario. A nulla sono valse le censure mosse in sede di reclamo dalla lavoratrice: i giudici hanno confermato il loro no a reintegra e risarcimento.





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