Marijuana troppo curata

Gli ermellini non riconoscono la “tenuità del fatto”

    di Adelaide Caravaglios

C’è coltivazione e coltivazione: lo sanno bene gli agricoltori che si dedicano alla cura ed alla crescita di piante, ortaggi, frutta; ed ogni tipo di coltura necessita di un suo sistema, di suoi tempi, prevede l’impiego di determinati tipi di sostanze fertilizzanti. Detto altrimenti, non ci si può ‘inventare’ agricoltori da un giorno ad un altro, né tantomeno si può immaginare di coltivare le piante allo stesso modo.

Certo, oggi di coltivazioni ve ne sono varie: oltre a quelle – diciamo – tradizionali, ne sono state infatti introdotte di ‘nuove’: si pensi, per esempio, a quella della marijuana, derivato dalla canapa indiana e, soprattutto (per i ‘non addetti ai lavori’), ben più famosa di quella del sorgo, la quale pare riscuotere grande interesse.

Va, però, detto che se la coltivazione “con troppa cura” di sorgo non determina particolari tipi di effetti collaterali, quella di marijuana è ben più pericolosa perché può non consentire di vedersi riconosciuta la non punibilità del reato per particolare tenuità del fatto: è quello che si legge nella sentenza n. 1766/2019 della quarta sezione penale della Cassazione con la quale è stato respinto il ricorso di un uomo ritenuto colpevole (ex art. 73, comma 5, T.U. delle sostanze stupefacenti) del reato di coltivazione di una pianta di cannabis e condannato alla pena relativa, al quale non è stata riconosciuta la causa di non punibilità perché la “coltivazione, essendosi concretizzata in comportamenti seriali”, si è spinta fino alla raccolta delle piante con ciò denotando una ripetitività delle azioni.

A nulla è servita la difesa dell’imputato, il quale ha visto, così, s-fumare la propria assoluzione.





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