LIBRI Candido
Il giovane siciliano protagonista di Sciascia è figlio delle contraddizioni del suo tempo
di Roberta Errico
Duecentodiciotto anni separano il Candide, ou l'Optimisme di Voltaire e il Candido, ovvero un sogno fatto in Sicilia di Leonardo Sciascia, ma gli intenti e l’ironia sono molto simili – lo scrittore originario di Racalmuto, a scanso di equivoci, confermò: “Voltaire è una delle mie bibbie”. Il Candido di Sciascia nasce in Sicilia la notte dello sbarco degli anglo-americani, tra il 9 e il 10 luglio 1943. Il protagonista cresce in un contesto borghese, i suoi genitori sono l’avvocato Munafò e la madre Maria Grazia, figlia di un gerarca fascista. Sin da bambino, Candido, sviluppa un carattere sincero e privo di pregiudizi, circostanza che influirà negativamente su tutti gli eventi che costelleranno la sua vita.
Al pari del Candido della metà del 1600, anche il giovane omonimo siciliano della metà del ‘900 affronta le contraddizioni del suo tempo, da cui non è per nulla intimorito, forte della sua integrità: “Noi siamo quel che facciamo. Le intenzioni, specialmente se buone, e i rimorsi, specialmente se giusti, ognuno, dentro di sé, può giocarseli come vuole, fino alla disintegrazione, alla follia. Ma un fatto è un fatto: non ha contraddizioni, non ha ambiguità, non contiene il diverso e il contrario,” scrive Sciascia. “Le cose sono sempre semplici,” mormora Candido, sarà appunto il suo desiderio di chiamare le cose con il loro nome a procurargli l’inimicizia delle persone e a far sì che addirittura la madre lo definisca “un piccolo mostro”. Emblematico in tal senso è uno dei primi episodi che lo vedono coinvolto: da bambino ascolta per caso la confessione di un assassino che si era recato dal padre per ottenere assistenza legale. Candido racconta l’accaduto ai compagni di asilo, la voce si sparge e arriva fino all’orecchio dei Carabinieri che si trovano costretti a interrogare il piccolo. È così che quello stesso giorno, colto da una insanabile vergogna, l’avvocato Munafò si suicida.
Candido, dopo l’accaduto, viene posto sotto la tutela del nonno Cressi che intanto, dopo la guerra, ha deciso di riciclare i suoi ideali fascisti all’interno della Democrazia cristiana, episodio che Sciascia usa per denunciare un dato storico conclamato e cioè che molti ex fascisti confluirono nelle fila della neonata Dc. Il vecchio generale non ha tempo da dedicare al giovane, così decide di affidare la sua istruzione a Don Antonio, un arciprete. Le convinzioni religiose dell'arciprete, però – anche grazie al confronto con Candido – cominciano a vacillare e, dopo varie vicissitudini il religioso decide di lasciare l’ordine sacerdotale e divenire laico, dopodiché insieme a Candido si iscrive al Partito comunista italiano. “Essere comunista era insomma, per Candido, un fatto quasi di natura: il capitalismo portava l'uomo alla dissoluzione, alla fine; l'istinto della conservazione, la volontà di sopravvivere, ecco che avevano trovato forma nel comunismo”, scrive Sciascia, “Il comunismo era insomma qualcosa che aveva a che fare con l'amore […] Don Antonio questo lo capiva e, generalmente e genericamente, lo approvava; ma riguardo a sé, al suo essere comunista, aveva idea diversa. Un prete che non è più prete,” diceva, “o si sposa o diventa comunista. In un modo o nell'altro deve continuare a stare dalla parte della speranza: ma in un modo o nell'altro, non in tutti e due i modi”. Anche nel partito, però, la sincerità di Candido non è bene accetta e questo lo pone in conflitto con i compagni, che alla fine decidono di espellerlo. La vita di Candido vive intanto le gioie dell’amore: il giovane siciliano s'innamora prima di Paola, la domestica del nonno, e poi di Francesca, con la quale fugge dalla Sicilia per andare a vivere prima a Torino e poi a Parigi, la città piena di miti letterari e libertari, dove il racconto trova la sua conclusione.