Salonicco 1943, quei 50mila ebrei sterminati
Il coraggio di due consoli italiani nel libro dello storico e giornalista Nico Pirozzi
di Livia Iannotta
Viene da pensare a quanto ingiusto sia il silenzio ammassato attorno a certi “buoni”. Quella che abita le pagine di “Salonicco 1943. Agonia e morte della Gerusalemme dei Balcani”, saggio dello storico e giornalista Nico Pirozzi, pubblicato da Edizioni dell’Ippogrifo, è una storia taciuta, dimenticata o voluta dimenticare. I “giusti” in questione sono due, entrambi fascisti: un console, Guelfo Zamboni, e il suo successore, Giuseppe Castruccio. Prima l’uno e poi l’altro, dalle sale neobarocche del consolato italiano a Salonicco, idearono e misero in pratica, tra l’autunno del ’42 e l’estate del ’43, un piano che evitò a centinaia di ebrei la deportazione nei lager del centro Europa.
Nella Grecia occupata dai tedeschi, disobbedivano alle misure antisemite con la burocrazia: da Villa Olgas, sede diplomatica italiana, fecero uscire passaporti temporanei e falsi certificati di nazionalità provvisori che attribuivano un’origine italiana a quanti più ebrei possibile, connazionali e non, in attesa di essere deportati ad Auschwitz. Solo grazie a quei documenti riuscirono a scampare il viaggio di non ritorno verso la Polonia, ed essere invece spediti ad Atene, territorio sotto la giurisdizione di Roma. L’escamotage, architettato da Zamboni e continuato da Castruccio, guadagnò l’appoggio di altri, pochi, tra cui Lucillo Merci, capitano del Regio Esercito e interprete.
Proprio sulle parole di Merci, incolonnate in un diario, la storia di Zamboni arriva a Pirozzi: 70 pagine di grafia fitta e garbata, corroborate da testimonianze di sopravvissuti e dalle carte conservate dalla Farnesina. Con l’acume del giornalista e la puntualità dello storico, l’autore ricostruisce passo per passo gli atti di una scellerata politica razziale che in scarsi 174 giorni spazzò via ogni traccia di ebreo da Salonicco, la Gerusalemme dei Balcani, dove risiedeva la più grande comunità di sefarditi d’Europa. In 50mila vennero deportati, e la città poté dirsi Judenfrei. Ripulita.
Come arrivarono due fascisti convinti a vestire la nomea di nuovi Shindler, trasgredendo un credo politico e le direttive naziste, è la domanda a cui prova a rispondere il saggio. Come pure perché, a guerra finita, Zamboni e Castruccio siano stati relegati nella penombra della memoria. Pirozzi ipotizza, riflette, confronta, facendo del suo libro più di un resoconto. Scrivendo da storico, e insieme da giornalista. Nobilitando chi seppe osteggiare Berlino conservando un briciolo di umanità e condannando chi invece avrebbe potuto ridimensionare la follia ma scelse la connivenza.
Villa Olgas ammaina il tricolore il 24 dicembre del ’43, quando il consolato venne chiuso, i funzionari rimpatriati in terra madre, le carte che avrebbero svelato il “misfatto” distrutte da Castruccio. Da quella testa d’inverno in poi, il villino s’incamminò verso la decadenza. Ancora oggi, per gli autisti dei bus di Salonicco resta Palió italikó proxeneío, il vecchio consolato italiano. Con un giardino dove germinano le erbacce e le persiane protestano insieme al vento.