Il dopo Sir Alex

Com'è cambiato lo United senza la leggenda Fergurson

    di Alberto Medici

Raramente si trovano personaggi che emozionino veramente uno scrittore, che lo spingano a cercare di carpire ogni singolo dettaglio della sua vita, che siano capaci di estrarre veramente il sentimento e l’ammirazione che si prova verso di loro.

Raramente sono nati personaggi come Alexander Chapman Ferguson, o per tutti Sir Alex.

Per il suo palmares non basterebbe davvero un libro, ma basta citare un paio di cifre per rendersi conto della quantità di titoli vinti: due Champions League (una, nel 1999, con una rimonta clamorosa contro il Bayern Monaco in una finale memorabile), tredici Premier League e cinque Coppe d'Inghilterra. Ovviamente sempre alla guida del suo Manchester United, plasmato a sua immagine e somiglianza e condotto ininterrottamente dal 1986 al 2013. Per lui anche 1500 (millecinquecento!) panchine con lo stesso club (di cui 895 vittorie, il 60%) e 2769 reti all’attivo, 10 volte eletto come miglior tecnico della Premier League e coach dell’anno nel 2012. Numeri e cifre da vero fuoriclasse.

Per tutti questi motivi, Sir Alex è la leggenda del calcio inglese, del Manchester United, ed è il mito, il maestro, l’esempio per eccellenza della panchina. Un allenatore incredibile, un manager immenso. Uno psicologo, un motivatore, un talent-scout talvolta (vedi il colpo dell’allora 17enne CR7 o la fiducia data ai giovani della squadra riserve come Neville, Scholes e Giggs, poi totem della “prima”), ma anche un tecnico capace di gestire personaggi e personalità importanti all’interno dello spogliatoio (l’esempio classico è lo scarpino rifilato in faccia a un David Beckham troppo “molle”).

Ha allenato giocatori del calibro di Neville, Keane, Giggs, Beckham, CR7, Rooney, Van Nilsterooy o Eric Cantona, solo per fare qualche nome importante. Ma il fuoriclasse è sempre rimasto lui.

Ha fatto diventare il vecchio Old Trafford un tempio, uno stadio monumento, una meta di pellegrinaggio che tutti gli amanti del calcio vogliono, almeno una volta nella vita, visitare: l’ha reso the theatre of dreams, il teatro dei sogni.

Non c’è da stupirsi che il 19 maggio 2013, giorno del suo addio, tutto lo stadio si sia alzato in piedi applaudendolo e tributandogli il dovuto saluto e ringraziamento. (Ah, parentesi, come regalo d’addio il vecchio Alex ha conquistato la 20° Premier nella storia del Club – 13° del suo palmares).

Senza dubbio è stato uno dei migliori – se non il migliore – allenatore della storia, per attaccamento alla maglia, ai valori, alla cultura e alla tradizione, per esser stato capace di essere un vincente per oltre 25 anni, per aver avuto sempre fame (quella sportiva s’intende), per il carisma e per la personalità, per le sue indubbie qualità nelle relazioni con la stampa, nel saper gestire i propri calciatori, proteggendoli quando necessario o spronandoli quando rendevano al di sotto del loro potenziale, e per la sua capacità di essere amato dai tifosi, anche quelli avversari.

Spesso si è soliti dire che i calciatori e gli allenatori vanno, le squadre e le società restano.

Beh forse in questo caso è il contrario.

Thank you for all, uncle Alex.





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