L'acqua miracolosa del Chiatamone

Il mito degli acquafrescai in una Napoli dal sapore "sulfureo"

    di Amedeo Forastiere

Credo che i napoletani siano stati gli antesignani nell’arte dell’arrangiarsi. Una volta si diceva: "A’ fame f' 'asci 'o lupo do' bosco”. I mestieri più impensabili per portare la “campata” a casa. Sono tanti, molti me li ricordo, come quello del venditore di panini con la ricotta di fuscello. Erano sempre uomini con un grosso paniere sotto il braccio. Ai bordi teneva dei panini infilzati con uno stecchino, al centro un’altra cesta più piccola con la ricotta di fuscello. Non ricordo quanto costava. Si fermava  spesso fuori la scuola, era una delizia. Poi c’era quello che vendeva le castagne lesse “allesse”.

La spiga bollita, o arrostita. Erano tutte cose che nelle case non si facevano, quindi per i ragazzi rappresentavano una novità. Poi c’era quello che girava tutta la città con un vecchio carrozzino per bambini. Sopra poggiato c’era una grossa cesta, dentro aveva “e pagnuttilli”. Erano una via di mezzo tra il tradizionale tortano e il casatiello (senza le uova). Pino Daniele canta: “Furtunato, tena ‘a robba bella, n’zogna n’zogna”. Era il simbolo del venditore di pagnottielli. L’ho ricordo, girava con il suo carrozzino nella zona della Pignasecca, a piazza Dante, a via Pessina. La cosa che mi divertiva era un cartellino lungo bianco d’avanti alla sua “bottega”. La ditta Fortunato il lunedì riposa.

Vi racconto dell’acquafrescaio, altra figura tipica napoletana. C’era quello ambulante che girava con una cesta e la mummarella, ma era una cosa arrangiata. I più fortunati svolgevano la loro attività in chioschi fissi, decorati con limoni e foglie, era il tradizionale ornamento. Questo tipo di chioschi veniva anche chiamato “banca dell’acqua”. In queste "banche" si vendeva una bevanda fresca e deliziosa, fatta con spremuta di limone, acqua di zuffregna della sorgente del Chiatamone. Era una tappa fissa la domenica pomeriggio dopo aver pranzato, quando andavamo a far visita ai parenti. Piaceva molto anche a noi ragazzi. Ci fermavamo sempre al chiosco di piazza Dante, vicino a Vaco e’ presso, antica rosticceria che tuttora esiste. Mi divertivo quando l’acquafrescaio metteva una punta di bicarbonato che faceva uscire fuori dal bicchiere una schiuma che bagnava le mani. Era un toccasana per la digestione. Nel 1973, a seguito del colera, la sorgente di quell'antica acqua del Chiatamone, che piaceva tanto ai romani per quell’intenso sapore sulfureo, fu chiusa dal Comune per motivi igienico-sanitario. Per i napoletani fu un duro colpo. Tutti capimmo che era l’inizio di una fine, anche se non sapevamo bene di cosa. Una Napoli che svaniva, per fare posto ad un’altra magari migliore? Più moderna? Ma... 

Dopo circa trent’anni, nel 2000, ci fu un timido tentativo di riaprire la sorgente. L’acqua zuffregna tornò di nuovo a scorrere lungo i marciapiedi nei pressi di Palazzo Reale, sulla strada dei Cavalli di bronzo. L’amministrazione di allora promosse  un’opera di recupero che si concretizzò nella realizzazione di quattro fontane dove tutti potevano prendere l’acqua zuffregna gratis e portarsela a casa. Fin quando i tubi non si ostruirono, la falda fu dichiarata nuovamente inquinata. Fontane sigillate e mai più riaperte. La sorgente che continua a scorrere, con tutte le sue proprietà minerali, fu deviata verso il mare, sprecando così quel dono che la natura ci ha regalato. L’acqua del Chiatamone, nella mummarella fresca, ci ha dissetato per tanti anni. Nelle giornate afose d’estate era un toccasana. Ricordo ancora l’acquafrescaio di piazza Dante, don Rafe’, con i lunghi baffi neri, che esaltava la sua acqua benefica per attirare i clienti e cantava: “Venit' teng ol’acqua ‘e mummera, ‘na veppet’ fresca fresca e chest’ acqua te cunzola, te porta n’Paraviso” .





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