Squid Game, la morte e' un gioco da bambini

La serie che ha stregato il popolo di Netflix. Storia triste di uno show estremo

    di Mario Vittorio D'Aquino

Il pezzo di questa settimana è dedicato al fenomeno globale del momento, la serie Netflix che ha conquistato gli spettatori – grandi e piccoli – e ha registrato numeri da record: Squid Game. “Ci sono voluti più di 10 anni perché l'ideatore (sudcoreano) Hwang Dong-hyuk riuscisse a realizzare Squid Game, ma solo 17 giorni (e 111 milioni di utenti in tutto il mondo) per farla diventare la nostra serie più vista di sempre a ridosso del lancio”. Annuncia l’emittente italiana di Netflix sui social. E si prospetta che sarà ancora il prodotto tra i più visti sulla piattaforma californiana per molte settimane ancora. Sono 456 i concorrenti disperati che dovranno sfidarsi in una struttura dispersa e sconosciuta dell’Estremo Oriente. Ancora non sanno, al loro primo risveglio in quel luogo, cosa gli accadrà. Ma non si finisce lì per puro caso: i concorrenti infatti hanno tutti un passato negativo o travagliato. Indebitati come il protagonista, evasori, ladruncoli, ma anche assassini e indigenti dovranno, in 9 episodi, sottoporsi a molteplici sfide decise da un burattinaio di fatto che sancisce l’inizio delle varie challenge annunciandole attraverso una terrificante voce femminile trasmessa all’altoparlante. Per partecipare ai diversi giochi non bisogna avere particolari doti fisiche o mentali ma solo rimettersi i panni di quando si era bambini, poiché le sfide sono tutte quelle che ogni bimbo ha giocato nella sua infanzia: “1, 2, 3… stella!”, “il tiro della fune” sono solo alcuni dei giocherelli dello show in cui chi perde muore.

ome nella vita reale, Squid Game è uno show che mostra un aspetto tetro e cupo nell’evoluzione della storia, un’introspezione con la quale lo spettatore si identificherà e si legherà inevitabilmente in maniera simbiotica con i personaggi. Il tema survival del “tutti contro tutti” viene facilmente traslato nelle difficoltà con le quali ogni giorno il singolo deve affrontare per “sopravvivere” nella fagocitante società. Il protagonista impersona, invece, il sogno – quasi ingenuo e utopico – di un ritorno alla concezione della Gemeinschaft in cui – per dirla in modo maledettamente sbrigativo – le interazioni sociali sono di natura personale, guidate da emozioni e sentimenti e da un senso di obbligo morale verso gli altri. Il premio riservato all’unico vincitore rimasto? 45,6 miliardi di won. Fino a quanto i personaggi saranno disposti a minacciare la propria incolumità e far fuoriuscire il loro lato più animalesco per un tornaconto meramente economico?

Ma la serie mette in risalto un’altra scintillante novità che non può essere più minimizzata in alcun modo: la costante crescita della cinematografia sudcoreana che, dopo Parasite, sforna un altro prodotto di indiscusso valore. Il finale così platealmente aperto induce che sarà girata una seconda stagione. Il fenomeno Squid Game quindi continua con la speranza che gli autori non travalichino quel confine sottile che divide la genialità del prodotto con la forzatura di una sceneggiatura ridondante e noiosa della quale altre serie si sono – ahìnoi – irreversibilmente cosparse.

 





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