Solitudine

Un gioco con se stessi

    di Espedito Pistone

Non è che la solitudine gli pesasse più di tanto. Anzi la indossava come un vestito fatto su misura, tanto si era abituato a vedere intorno a sé solo vento, cielo, montagne e quel prato incolto. Gli andava tutto bene, mai che si fosse lamentato con se stesso di quella condizione. Tutto gli andava bene. Tranne quel prato incolto.

Poi, un giorno, si decise e prese le misure: del campo, del tempo e del suo scontento a vederlo pieno di erbacce. Impiegò ore e ore a strapparle dal terreno, a farne piccoli cumuli e a portarli via con una vecchia carriola. Sempre in compagnia del vento, del cielo, delle montagne e di quel prato che cambiava aspetto, sotto i colpi della sua buona volontà e della decisione ormai presa.

Sì, infatti, mentre se ne occupava aveva scelto cosa farne. Sarebbe diventato un campo di calcio! Una volta appianata ogni divergenza con dislivelli e buche, provvide anche a delineare confini, centrocampo e aree di rigore con della sabbia bianca e, poiché di tempo gliene rimaneva, costruì due porte di legno, quasi regolamentari, da piazzare di qua e di là.

Finalmente, poté avere inizio il Campionato. Lanciava il pallone, correva a prenderlo mirava a una delle due porte, provava a segnare, scartava, cadeva e si rialzava, sempre concentrato sulla magica sfera e, finalmente, quando arrivò il momento più sognato e temuto - il rigore! - nel silenzio del vento, del cielo e delle montagne, con i piedi piazzati nello stadio più bello del mondo, posizionò la palla e lanciò... lentamente. Ebbe, così, il tempo di mettersi in porta e tuffarsi tra le braccia dell'immobile tempo. Fu goal o parata? E che importanza può avere? Nella pace del vento, del cielo e delle montagne fu gioco. Gioco e vittoria. Rimbocchiamoci il cuore.





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