Saldi, anche a teatro

Perfino il San Carlo Opera Festival sembra rientrare nella maxi promozione estiva

    di Maria Regina De Luca

Così fan tutti, quando l’estate sopraggiunge con la sue vampe impietose senza che la primavera sia durata abbastanza da svuotare i negozi del mezzo-tempo per mezze-stagioni, peraltro scomparse. Un diluvio di "offerte speciali", di "occasioni", di "promozioni" (è dubbio se il promosso sia la merce o l’acquirente o entrambi), mentre le vetrine danno i numeri, 70, 80, indicanti percentuali di sconti apparentemente suicidi, spesso compensati dalla mescolanza di capi da bancarella a quelli sartoriali o di più elevate genealogie. Un diluvio universale di offerte e non solo di beni di prima, seconda o terza necessità, ma anche di quelli per necessità diverse, il cui grado gerarchico nella scala dei bisogni dipende dal grado di composizione chimico-psichica degli organi del pensiero del consumatore, dall’informazione-formazione che ha acquisita e poi da tutto quel quid misterioso che ci segna alla nascita o lungo la via e che non ci permettiamo nemmeno di sfiorare. Beni di primissima o media o ultima necessità o del tutto inutili, ma vitali per molti come l’aria, sarebbero i libri, il cinema, il teatro, la musica, i musei e altri luoghi del genere che si adeguano alle "liquidazioni" di merci in questi tempi  "liquidi".

Forse un po’ azzardata, ci è venuta l’idea che il progetto del San Carlo Opera Festival rientri in questa "promozione" generale, decisa dagli operatori del settore e approvata, ossia "promossa", dal pubblico. Buona la scelta, popolare quanto basta per attirare consensi da un pubblico meno sofisticato e intellettualizzato di quello invernale. Tutto accettabile e prevedibile, peccato che la confezione, non proprio di alta sartoria, manchi anche del marchio di originalità e di innovazione. Perché le voci spesso accettabili e la splendide musiche di Puccini, che rivestono il tema eternamente attuale di Bohème e quello meno attuale di Tosca, ma accomunato alla nostra contemporaneità dall’ignorante arroganza del potere, non sono riuscite a vincere su regie, scenografie e innovazioni del tutto peregrine e spesso in totale antitesi coi testi.

Se accettiamo i libretti dei grandi Illica e Giacosa, tratti da un dramma di V. Sardou (Tosca) e da Scene de Vie de bohème di H. Murger, come testimonianze di un tempo dove cose ed idee si esprimevano in un linguaggio diverso dall’attuale, pur restando attualissimo il loro contenuto, lo stravolgimento del contenitore rischia di confondere in un generale non-colore non-sapore tutta la confezione. La guache di apertura di Bohème non è compatibile né con tetti bigi né con comignoli (e ci fermiamo qui), come sono del tutto inesplicabili i monatti che portano via Mimì nell’ultima scena. Quanto a Tosca, ci limitiamo a ricordare al regista che, nel lontano 1945, Carmine Gallone diresse un film dal titolo: "Davanti a lui tremava tutta Roma" ambientandolo nella Roma occupata dai tedeschi del tempo. La splendida Anna Magnani era doppiata dalla sublime Renata Tebaldi. Sarebbe stata più innovativa una Tosca ambientata su Marte, magari seguendo le istruzioni sulle magistrali guide per viaggiatori spaziali di Ray Bradbury. 





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