Cinema d'autore a Madrid

Cine Dorè, fucina di cultura, come non se ne vedono in Italia

    di Maria Regina De Luca

In una delle strade che partono dalla Puerta del Sol e percorrono i quartieri più belli di Madrid, la Calle de Santa Isabel, si apre la deliziosa architettura in rosa e grigioperla del Cine Dorè. La strada prende il nome dal Monastero di Santa Isabel, eretto nel 1593 da Filippo II in memoria della figlia, l’Infanta Isabel Clara Eugene. Destinato successivamente ad accogliere e a curare bambini invalidi, viene riconosciuto come monumento storico, come molti dei bei palazzi della strada. Nel 1922, viene aperto un Salone d’intrattenimento che, l’anno successivo, diventa cinema incontrando subito il favore del pubblico. 

Dopo un periodo di grande successo, il Cine Dorè è costretto a chiudere per il decadimento della zona, ma l’edificio resta intatto nella sua grazia Liberty fino alla ristrutturazione nel 1963 e alla successiva riapertura. Oggi fa parte della Filmoteca Española e del Ministero della Cultura con un preciso obiettivo: diffondere tra le giovani generazioni la conoscenza del ruolo che il cinema ha svolto nella storia dei popoli e dei Paesi e conservare e diffondere il grande patrimonio cinematografico spagnolo.

Alla riapertura del Cine Dorè hanno messo mano più componenti che hanno, per noi italiani del XXI secolo, dello straordinario, anzi del miracoloso. Perché il resistere alla smania devastatrice dell’innovazione di strade e fabbricati che ha dilaniato da noi interi quartieri e recuperare la palazzina Liberty, considerandola d’interesse architettonico e ambientale, da parte di una illuminata sovrintendenza, da noi sarebbe già ai confini della realtà.

Acquistarla da parte del Comune e assegnarla al Ministero della Cultura, com’è avvenuto a Madrid, andrebbe ben oltre il confine, direttamente nella fantascienza. Nella migliore delle ipotesi, sottoposto a un costoso lifting in acciaio e vetri, uno spazio così centrale e commercialmente produttivo verrebbe nella  nostra città destinato a supermercato o, sempre nella migliore delle ipotesi, a multisala intrisa di sentori di pop-corn e invasa da clamorose musiche indistinguibili tra loro, uno dei tanti sepolcri del cinema ‘vero’ che sembrano impegnarsi a spegnerne la memoria e, per conseguenza, il desiderio. Nel cinema Dorè, dove la programmazione accuratamente alterna temi e protagonisti, film internazionali nelle rispettive lingue nazionali e film spagnoli, il contorno è di quelli che consentono allo spettatore di prepararsi alla visione e di confrontarsi nel giusto ambiente con i suoi significati.

Conferenze, incontri, una sala lettura-caffè, (a cifre irrisorie) esprimono l’impegno a trasmettere il sapere nel migliore dei modi, offrendo allo spirito e al corpo, che ne è parte integrante, gli alimenti necessari ad una piena assimilazione. Al Cine Dorè, più che un cinema d’essai, dove spesso presuntuosamente vengono smerciati film il cui insuccesso è dovuto più alla mano maldestra del regista che all’elevatezza spesso supponente del linguaggio, ci sembra che si addica meglio il termine di cinema d’Autore perché opere di registi come Davide Cronemberg e Alain Cavalier, ai quali sono state dedicate recentemente alcune serate, svolgono una funzione nella società affidata loro dall’autore che se ne assume le responsabilità con autocritica, e non come il risultato opinabile di un capriccio o di un autovezzeggiamento del cui insuccesso viene incolpato il pubblico, fenomeno che da noi è ormai altamente diffuso.

Per i giovani, anche stranieri, che seguono le proiezioni, ascoltano i seminari, le conferenze, partecipano agli incontri concedendosi i momenti di pausa-caffè, il Cine Dorè è un punto d’incontro e di riferimento di grande valore formativo. Non resta che porsi l’ovvia domanda: perché quanti nel nostro paese dovrebbero gestire la vita intellettuale e culturale dei giovani a tutti i livelli, dalla scuola elementare in su, non prendono consapevolezza che ragazzi privi di uno spazio destinato a loro, fermi a gruppi agli angoli di improvvisati pub e pseudo ristorantini, non sono aiutati a formarsi nella loro crescita fisica e intellettuale? Perché nessuno, dalle diverse TV e dai diversissimi giornali e pubblicazioni, accomunati tutti dall’indifferenza verso i problemi autentici della città e dei suoi abitanti, lancia un grido d’allarme in merito? Perché nessuno denuncia che non si alleva così nemmeno un branco di pecore, alle quali il buon pastore ricerca i pascoli verdi spostandosi nelle diverse stagioni? Non ci resta che piangere, e convincerci che non possiamo più ricominciare nemmeno da tre, senza risalire dal sottozero che la nostra sempre più illuminata amministrazione locale e nazionale riserva ai suoi giovani.





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