Resilienza d'Amore a Madrid
Al Teatro Español Rossy de Palma incanta in un recital surreale e onirico
di Maria Regina De Luca
Trovarsi a Plaza Santa Ana a Madrid è come avere tra le mani una smagliante matassa di fili attraverso i quali inoltrarsi in sempre diverse seduzioni. Eccoci dinanzi al Teatro Español, prestigiosa vetrina delle tendenze drammaturgiche contemporanee e di quelle che animarono i capolavori del Siglo de oro. Il glorioso teatro seicentesco sembra far da punto di riferimento alla vicina statua di Calderon de la Barca e al ‘memento’ politico e sociale della statua di Federico Garcia Lorca.
Lo spettacolo in scena, "Resilienza d’Amore", m’invita a entrare, sia per la sua nascita italiana che conferma la tesi del Convegno napoletano sul rapporto tra Napoli e Spagna, sia per la presenza di un’attrice della quale sarebbe difficile trovare anche una sbiadita imitazione. Prodotto dal Piccolo di Milano dove è stato presentato in primavera, "Resilienza d’amore" dichiara già dal titolo i suoi intenti perché il ‘non arrendersi’, parola d’ordine del personaggio, lo è anche dell’attrice, Rossy de Palma, che percorre la complessa materia dello spettacolo come una freccia pronta a centrare il bersaglio, un’onda che si modella su scogli e fondali, una maschera alata non certo di ali di rondine, ma forse di un gabbiano-sparviero. Se le gambe sono appena velate da una rete nera il volto è una sfida con gli occhi divisi dalla vela sghemba del naso, ma incoronato come quello di un’aquila alla quale forse la sua audacia s’ispira.
Nessun’altra si spoglierebbe via via di trucco e di ali, ma lei sa che la maschera più vera è il suo volto nudo, il volto del teatro e dei suoi cambiamenti, delle sue anomalie e delle sue incongruenze, surreale, composito, provocatorio di smontaggi e rimontaggi alla Picasso e alla Dalì, spazio aperto per Man Ray, una nessuna e centomila per Almodovar che assiste allo spettacolo tra il pubblico portandone alle stelle il coinvolgimento. Rossy lo tradirebbe solo per fare i film di Anna Magnani, tutti, perché ‘ogni film è un’avventura umana da non rinnegare mai. Nel recital-teatro danza, tra siparietti coreografici e icone delle quali è oggetto e artefice, Rossy si specchia nella Luna della quale ama l’imperfezione di non aver luce propria. Geisha nel bazar cinese, diventa una rosa che Magritte avrebbe amato, ma per dar volto al male non usa allegorie. Sull’onda della sua splendida voce, lo spettacolo si snoda dando palpiti di vita alle correnti innovative del secolo scorso, ma il surrealismo che lo pervade si smonta dinanzi a una verità antica: la vita da sfogliare non è una margherita, ma una cipolla che spreme fino al cuore le lacrime, un tempo raccolte dalla pietas della civiltà greca in ampolline perché non andassero perdute.
Il linguaggio è permeato delle correnti innovative dell’arte del secolo scorso, molte spazzate via dalla Grande Guerra, alcune confluite nel surrealismo che tuttora resiste anche per merito dei suoi alfieri che hanno meritato l’eternità, da Picasso a Dalì a una Gala aleggiante su Cadaquès. Pensando a Dalì, autore del sogno di ‘Io ti salverò’ e artista del surreale, all’uscita dal teatro troviamo ad attenderci Calderon, maestro di ogni sogno che contenga la vita e di ogni vita che voglia rifugiarsi nel sogno. Vien fatto di pensare alle immense praterie dell’infinito, dove forse tutti loro s’incontrano e parlano di noi, che ad essi continuiamo ad abbeverarci, come di allievi fedeli e ricettivi, o come d’illusi e ostinati sognatori.