La formazione

Quale skill professionale nella comunicazione?

    di Silvio Fabris

Grazie alla legge 341\90 le Università godono oggi di ampia autonomia, che si è applicata durante questi anni cambiando l’impianto e i contenuti dell’offerta formativa anche in contrasto con la filosofia originaria che ha informato l’attuale ordinamento. C’è solo da augurarsi che le eventuali future modifiche siano basate su più realistiche valutazioni delle tendenze del mercato del lavoro. L’allora commissione ministeriale, in maniera travagliata, dovette creare l’ordinamento dei corsi di laurea in Scienze della Comunicazione e di diploma in Giornalismo e Tecnica Pubblicitaria. Non fu facile trovare un facile equilibrio tra spinte diverse: rigidità degli attuali statuti giuridici dell’università italiana, azione delle lobbies accademiche, leggi del mercato, “visioni del mercato” spesso opposte dei vari componenti e così via.

Ma c’è da chiedersi: tutto ciò può garantire una formazione globale del professionista e del manager della comunicazione? Se analizziamo i piani di studio relativamente alla comunicazione d’impresa ci sono ancora carenze dovute forse alla preparazione spesso carente di docenti che se la cavano bene sul piano teorico, ma che sul piano pratico dovrebbero avvalersi di un “aiutino” da parte di professionisti esterni della materia specifica. Infatti, spesso ci è capitato e ci capita di ricevere stagisti in agenzia che si lamentano della eccessiva preparazione solo teorica del loro percorso universitario. Basterebbe rifarsi ai Paesi del nord Europa dove, fin dagli studi liceali, i ragazzi, una settimana al mese, vengono inseriti nelle aziende per far loro vivere e conoscere la “pratica”, dall’operaio, all’impiegato, fino al manager.





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