La primavera di Scampia

Intervista a Rosario Esposito La Rossa, scrittore, editore, nominato Cavaliere da Mattarella

    di Roberto Rosano

A vederlo non lo diresti napoletano, Rosario Esposito La Rossa. Non ha, come me, la pelle mangiata dal sole. Non ha i baffi da sarracino, non ha lo sguardo obliquo e beffante di molti campani, me compreso. Lo diresti piuttosto veneto o lombardo: il bravo figlio, parco, bonaccione, di un operaio veneto o friulano, con gli occhi buoni, luminosi, l’ingenuità, il flemmatico accento del nord est; che ti manda giù uno spritz facendo spalluccia e portando un cristo in terra con le peggiori frasacce del suo vernacolo. Invece no, ha una voce liscia e robusta, un italiano squisito, ritmato sui toni del dialetto napoletano. I suoi movimenti sono lenti, rilassanti. Osservandolo, ti sembra di guardare un film girato sott’acqua e proiettato col rallentatore.

Poi scopri che non solo non è veneto, né friulano, ma che è nato e vissuto a Scampia, che il suo sguardo puro ed il suo sorriso sono insieme arguti e bonari, e che da lui emana l’indefinibile fluido delle grandi anime, a cui di solito si attribuisce un’aureola o un qualche serto di qualche nobile pianta, e a cui nessuno, a torto, attribuisce il coraggio. Quello di immaginare un mondo migliore, quando ancora non c’è. Una Scampia diversa. Talmente diversa, che ascoltando la sua intervista storci il naso e pensi «Scampia la nuova Berlino est?! Eh, addirittura!» Eppure, lui se ne frega e immagina, organizza i suoi sogni all’insegna di indicibili paradossi, che però la realtà la cambiano. E la cambiano in meglio.

Grazie a questa stramba fiducia, grazie a quest’ottimismo operativo e fecondo, ha onorato la memoria di suo cugino, ucciso per errore dalla camorra, ha fondato associazioni, ha aperto una casa editrice nel cuore del suo quartiere malfamato (nel senso più proprio, di "cattiva fama"). Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, lo ha nominato Cavaliere e con la sua esse sifula circa un mese fa, ha pronunciato la seguente motivazione: «Per il suo impegno e la sua creatività in favore della legalità e del degrado sociale». Anche un altro eroico sognatore, don Chisciotte, avrebbe fatto carte false per diventare Cavaliere. Si era incoronato da solo con una bacinella del barbiere. Ricordate? A Rosario Esposito La Rossa, che è un po’ pazzo come l’eroe di Cervantes, è capitato davvero. Accendo il registratore.             

Rosario Esposito La Rossa, Lei di chi è figlio?

«Diamoci del tu, che ne dici?»

D’accordo, come vuoi. Rosario, di chi sei figlio?

«Sono figlio di un metalmeccanico e di una casalinga. Quindi, una famiglia umile, ma dignitosa...»

Umile, ma onesta, come direbbe Troisi...

(Ride) «Sì una famiglia semplice.  Ho un fratello e una sorella. Abbiamo sempre vissuto a Scampia. La famiglia di mio padre è originaria di Barra, quella di mia madre del centro storico. Si sono trasferite qui alla fine degli anni ’70, quando Scampia era in piena costruzione».

Facciamo un salto, Rosario. Arriviamo al cuore di questa storia. Il 6 novembre 2004, Antonio Landieri, tuo cugino, disabile, stava giocando a biliardino sotto una struttura in lamiera per la rivendita di frutta e verdura e viene improvvisamente sparato da un gruppo di fuoco della camorra. Essendo disabile non può scappare come i suoi amici...

«Sì, sono stati scambiati per un gruppo di spacciatori, ma sia Antonio che i suoi amici erano incensurati. Antonio fu colpito da un proiettile di rimbalzo. Era un’azione intimidatoria finita male, in realtà non volevano ammazzarlo».

All’epoca, avevi sedici anni, Rosario?

«Sì».

Ti ha cambiato molto questa vicenda? È lì che hai iniziato a pensare alle prime iniziative per il tuo quartiere?

«Sicuramente. Tutto quello che abbiamo fatto, almeno inizialmente, è stato ispirato ad Antonio, alla rabbia della sua perdita. Abbiamo iniziato col creare un’associazione in sua memoria. Ci ha fatto molto, molto male! Antonio era giovane, era disabile, morire in quel modo...»

Che ragazzo sei stato fino a quel 6 novembre? Immagino, un ragazzo spensierato, come molti altri...

«Niente di particolare. Ero un adolescente che amava il calcio. Ho giocato tanto, anche in squadre professionistiche come il Napoli, il Pescara... Dopo la morte di Antonio mi sono concentrato sulle iniziative che conosci».

Sei sempre stato un bravo ragazzo, insomma. Non sei mai stato una testa calda, Rosario?

«No, no assolutamente. (Ride). Sempre andato bene a scuola e...»

Del 6 novembre abbiamo già parlato, ma parliamo un po’ del 7 novembre e dei giorni che seguirono. I più difficili per voi. Posso solo immaginare i commenti dei benpensanti... Avranno aperto tutti il frasario dei luoghi comuni se gli hanno sparato una ragione c’è! Si sarà trovato nel posto sbagliato... È così?

«Ovviamente sì. La stampa lo definì come uno spacciatore di livello internazionale. Noi eravamo impreparati. Provammo a reagire, non subito, certamente. Però, abbiamo creato l’associazione Voci di Scampia, in memoria di Antonio, varie attività in sua memoria, un premio, abbiamo piantato un albero, abbiamo fatto un murales anti-camorra. Siamo cresciuto man mano anche noi».

C’è stato un processo...

«Un processo lungo tredici anni e due mesi. Lunghissimo».

Concluso?

«Sì, sì, pochissimi giorni fa hanno arrestato le persone che hanno ucciso Antonio. Dopo tredici anni, pensa! Noi nel frattempo siamo cresciuti ed abbiamo imparato a stare al mondo».

Quanti erano i sicari che hanno sparato?

«Cinque».

A quale clan erano legati?

«Al clan degli scissionisti».

Rosario, tu non ti definisci un eroe, immagino, sarebbe poco eroico da parte tua... Però, molti parlano di te in questi termini. Romain Roland diceva “Vi è un solo eroismo al mondo, vedere il mondo com’è ed amarlo. Il tuo mondo è Scampia... È quella la tua acqua... Perciò, ti chiedo: com’è il tuo mondo? E perché, nonostante tutto, eroicamente, cerchi di amarlo?

«Be’, rispondo prima alla seconda. Amo questo quartiere perché è casa mia e come tutte le case uno le protegge, le ama. Nonostante la morte di Antonio, siamo nati e cresciuti qui. Abbiamo un forte senso di appartenenza. Proteggiamo questo posto e cerchiamo di lasciarlo ai nostri figli meglio di come lo abbiamo trovato. Tutto qui. Se questo è eroismo, ci sono tanti eroi nel mio quartiere. Non sono l’unico. Molti si industriano per cambiare questo posto, più di quanto immaginiate da fuori. Non è più Gomorra. Dieci anni fa sì, oggi non più. Anzi, a livello sociale è un laboratorio potente, è in fermento. Qui ci sono settanta associazioni, il 50 % della popolazione ha meno di 25 anni. Potrebbe diventare la nuova Berlino est. Io ci credo, raccontiamolo!»

E volendo rispondere alla prima domanda, quella più banale e che si addice meno al tuo ottimismo. Rimanendo nel campo dell’essere e non del dover essere...

«No, no, parlo dell’essere, invece, non del dover essere... Questo quartiere ha molta meno criminalità... Ti parlo dell’80% in meno. Il problema di questo posto è che è costruito male. Sicuramente! È un quartiere dormitorio, ci sono poche infrastrutture. Ci sono pochi negozi, poche opportunità di lavoro. E’ colpa di chi ha concepito e costruito questo posto, che ha le strade più larghe della Salerno Reggio Calabria».

Quindi, una soluzione sarebbe cambiare l’urbanistica di questo quartiere, per cominciare...

«Sì, sì, per esempio la costruzione dell’Università è un ottimo punto di partenza. Spero che un giorno un giovane venga a Scampia per studiare e non per comprare la droga. Perché ciò si realizzi, Scampia deve avere ed offrire servizi e per ora noi non ne abbiamo abbastanza».

Rosario, prima citavi Gomorra, cosa pensi di Roberto Saviano? Sincero, mi raccomando, tra me e te...

«Penso che debba essere tutelato. Fa bene a raccontare il marciume di questa città. Le persone come Roberto non vanno mai lasciate sole... È giusto parlarne... Non succeda poi che diventiamo tutti amici a posteriori, dopo le tragedie, quando queste persone in vita non le si sostiene affatto... Cerchiamo però di parlare al grande pubblico anche degli aspetti positivi, senza entrare in contrapposizione».

L’attenta considerazione al peggio di Saviano non ti svilisce? Tu sei un tipo così fiducioso!

«No, no. È bravissimo a farlo. Indubbiamente, però, questa città sta cambiando, anche grazie all’amministrazione De Magistris».

Saprai certamente che c’è stata una polemica tra Saviano e De Magistris...

«Una polemica stupida. L’antimafia è già in minoranza, non deve dividersi anche su cosa raccontare. Sbagliano entrambi».

Gomorra - La serie, Rosario... La segui, ti piace?

«Cos’è un’intervista su Saviano?» (Ride)

No, no, affatto. Statt’ senza pensieri, che è l’ultima domanda in merito. Promesso.

«È una delle serie più belle, almeno di produzione italiana. È bellissima! Certo, non è la Scampia di oggi. Su questo non ci piove. Se si capisce che è una fiction e non un documentario, non ci sono problemi. Se si pensa che quella sia la realtà, siamo lontani anni luce».

Nel 2010 diventi proprietario di uno storico  marchio editoriale napoletano, la Marotta&Cafiero. Non solo, ma fai una scelta bizzarra. Trasferisci la sede da Posillipo a Scampia...

«Sì, noi abitavamo a Scampia e non potevamo permetterci una sede a Posillipo. Una storia incredibile: pensa, dei sessantenni regalano una casa editrice a dei ventenni. Questi poi la prendono e la portiamo a Scampia... La vera scommessa era proprio provare a farla funzionare qui. Creare del lavoro qui, lavoro pulito. Una casa editrice è un’impresa tra il romantico e il commerciale. Ci siamo riusciti. Abbiamo pubblicato più di settanta libri».

Quando nel 2007 hai fondato Voci di Scampia, la Fabbrica dei pizzini della legalità...insomma quando hai iniziato a muoverti, c’è stata una reazione immediata della camorra? Si son fatti sentire?

«Questa purtroppo è tutta la cattiva informazione che si fa su questo quartiere, che si conosce pochissimo... La camorra sono i miei amici delle scuole medie, gente che conosciamo, fattorini, spacciatori, noi qui non abbiamo a che fare con i grandi boss. Questo era un supermercato della droga e quindi attività come la nostra non hanno minimamente influito sui loro affari, quindi nessuna reazione. Forse abbiamo intaccato di più la politica che la criminalità organizzata. C’è stata invece una reazione positiva da parte della società civile, spettacoli teatrali, libri».

Quindi, lei comincia a produrre libri nel quartiere che si dice abbia il più alto tasso di analfabetismo in Italia. I proventi vengono da Scampia o dai soliti Vomero, Posillipo...

«È verissimo che ci sono livelli di analfabetismo forti, soprattutto tra i ceti più bassi. È anche vero però che negli ultimi anni sta crescendo la percentuale di laureati. Ci sono tanti impiegati, gente diplomata da generazioni. Sono i penultimi di cui si parla poco, è più facile parlare sempre degli ultimi».

No, no, Rosario. La mia domanda non era se a Scampia vi fosse qualcuno che sapesse leggere o scrivere! Non pensavo certo che foste all’età del bronzo! Figuriamoci! Mi chiedevo se i clienti abituali della Marotta&Cafiero fossero di Scampia o di altri quartieri.

«Sì, sì certo, la maggior parte dei libri li vendiamo qui. Noi riusciamo a vivere e sopravvivere di questo. Credo ci siano dati incoraggianti da questo punto di vista».

Qualche giorno fa, sei stato insignito del titolo di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Il Presidente che ti ha tributato l’onore è fratello di una vittima di Mafia... Avete avuto uno scambio o ha solo letto la motivazione e si è congedato?

«Eravamo quaranta persone perciò non è stato possibile un grosso scambio di parole, però ci ha ringraziato per ciò che abbiamo fatto. L’ho invitato a venire a vedere coi suoi occhi quello che facciamo, speriamo di poter allargare questo ponte tra il nostro quartiere e le istituzioni. Negli ultimi sei mesi abbiamo incontrato la Presidente della Camera, Laura Boldrini, Martin Schulz, i deputati italiani del Parlamento Europeo».

E invece da parte delle Istituzioni locali avete avuto lo stesso riscontro? Da parte del Comune di Napoli, mi pare di aver capito che siete in rapporti proficui, invece da parte della Regione, con Vincenzo De Luca, per intenderci?

«Con la Regione abbiamo pochissimi contatti. De Luca si è insediato da poco, per cui no, purtroppo non ancora. Invece con il Comune sì, con quasi tutti gli assessorati... De Magistris ha curato la prefazione del mio ultimo libro. Ci sono vicini. Con una delibera, il sindaco ha voluto che lo Stadio di Scampia si chiamasse Antonio Landieri. Siamo grati».

A proposito, ho visto la foto del pancione di tua moglie con la medaglia appuntata. Stai per diventare papà, Rosario!

«Sì, sì». (Il volto gli si incendia d’entusiasmo).

Maschio, femmina? Sapete già?

«Femmina, femmina...»

Avete già scelto il nome?

«Morena».

Morena, eh be’, nome esotico, nome forte! Rosario, perdonami, ti faccio una domanda un po’ più confidenziale. Di solito quando non si ha famiglia è più facile permettersi il lusso dell’incoscienza o del semplice coraggio. Adesso che stai per diventare papà, hai mai pensato di cambiare quartiere?

«No, guarda, ci sono tanti operatori del sociale che operano in questi quartieri, ma abitano in altri, proprio perché non vogliono che i figli crescano in questi posti. Noi invece abbiamo scelto di abitare qui e dare una dimostrazione che si possa cambiare qualcosa. Ci metto la mano sul fuoco, si può crescere bene anche qui. Noi siamo venuti su bene, direi. Abitare in questo posto può paradossalmente essere una marcia in più».

Chissà che papà sarai! Tu che dici? Sarai il classico padre ancien che dice: no, no, tu quel tipo non lo frequenti, è figlio di...fratello di... È uno spostato... Non ti ci vedo...

«No, no, infatti, io ho frequentato tutti. Questo posto è una lezione di camaleontismo, di trasformismo, in senso buono. Bisogna sapersela cavare nelle buone e nelle cattive situazioni, non sarò certamente un padre che mette la figlia sotto una campana di vetro».

Rosario, a proposito dell’eroismo che ti attribuiscono. Sai che l’ideale eroico nel mondo classico si basava su due sentimenti, timè e kleos, l’onore e la fama.  Tu ogni tanto hai di queste tentazioni? Sei vanitoso come tutti gli eroi?   

«Della fama non me ne può fregare di meno, sinceramente. L’onore sì. Mio nonno faceva lo scaricatore di porto, viveva in una baracca ed io oggi sono Cavaliere della Repubblica... Ho portato grande onore alla mia famiglia, che per anni si è impegnata in questo territorio. Onore, sì, senz’altro, è una parola che dovremmo recuperare e ripulire dall’accezione mafiosa che va per la maggiore, a favore del vero significato... Vedi io poi devo ringraziare mia moglie. Mia moglie, non puoi immaginare... Mi è sempre vicina, davvero... Poi eroe, eh, non so eroe per me vuol dire».

Oddio, nell’epica gli eroi hanno sempre la luminosissima chioma, tu biondo lo sei, o meglio si indovina che tu lo sia stato, ma...

«C’era, c’era! (Ride) E’ l’età, i pensieri, avevo tanti capelli, poi col tempo...»

Quindi ci stavi nel cliché dell’eroe classico?

«Sì, sì, ci stavo, un tempo sì. Ahhhh, è il tempo che fa perdere i capelli, Roberto. Tutti in famiglia eravamo pieni di capelli e poi...»

È  la Primavera di Scampia, Rosario, come ha scritto qualcuno o l’odore di zolfo e di cenere di Gomorra è ancora troppo forte?

«Guarda ho capito a quale giornalista ti riferisci. Sicuramente è in corso una primavere umana. E’ vero. Qualcosa sta cambiando. C’è una grande partecipazione. Oggi si puliscono le strade, non ci si rintana e non si aspetta  la mano del Padreterno».

Il panariello...

«Ecco, no, no, abbiamo riqualificato zone abbandonate, abbiamo prodotto anche cd musicali... Qui abbiamo bisogno di storia, perché questo quartiere non ne aveva, e di esempi. Le storia la stiamo cominciando a scrivere e gli esempi li stiamo dando».

Il tuo stato su Whatsapp recita quid mirabile mundi, che mondo meraviglioso. È la versione più antica del what a wonderful world di Armstrong... Vedi che Roland aveva ragione, siete degli inguaribili ottimisti voi eroi. Date quasi ai nervi!

(Ride) «Di natura siamo una realtà ottimista».

La Campania è la regione italiana col più basso tasso di suicidi, una ragione ci sarà... In Giappone e Scandinavia, sempre ai primi posti per la qualità della vita, ci sono molti più cappi, com’è?

«Eh sì, assolutamente. La risata aiuta. Poi quando si parla di questa città si fa presto... Pizza, mandolino, pulcinella... Ma i napoletani sono anche altro, sono innovativi, ingegnosi, conoscono l’arte dell’arrangiarsi, che sta diventando arte della creatività».

Ma Rosario, non credi che questa retorica sull’arte dell’arrangiamento sia un po’ forzata? Gli altri si organizzano e qui  ci si arrangia? Ho sentito gli stessi elogi dell’arrangiamento in America Latina, come forma di consolazione autoindotta. Sicuro che questo benedetto arrangismo di cui si parla sempre sia una virtù e non il maggiore limite della mentalità partenopea?

«È vero, sì, è un limite. Però, io credo che Pulcinella servo si stia organizzando, si stia istruendo. Credo che stia diventando imprenditore. Non è più uno sprovveduto. Oggi si fa rete seriamente. L’amministrazione è più trasparente. L’aria è frizzante, Roberto. Questa città è piena di turisti e vedrai che sarà sempre di più leader nel mediterraneo».





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