E le stelle stanno a guardare

Ricadute della scoperta di un sistema planetario gemello

    di Maria Regina De Luca

La recente scoperta di un esopianeta a distanza ravvicinata dalla Terra arriva giusto in tempo per aprire nuove vie di fuga dalla madre-matrigna terrestre con la quale l’uomo va perdendo sempre più ogni consonanza. Risparmiamoci emigrazioni interne ed esterne di cervelli o di corpi alla deriva e consentiamoci altre mete, via per il cielo, nel vento che si annuncia primaverile dai nuovi pianeti e dalla loro stella che non si chiama Diana, ma Trappist-1, acronimo studiato per onorare anche i frati trappisti belgi, dato che la scoperta e il telescopio che l’ha consentita sono belgi. Il team degli scopritori è coordinato da Michael Gibbon, la Nasa è la madrina del nuovo sistema solare, i sette pianeti sono gemelli della Terra, tre di essi in zona ‘abitabile’ ossia temperata dove l’acqua, se c’è, resta allo stato liquido e consente la vita. Sono evidenti i punti in comune col nostro sistema solare formato da otto pianeti che girano intorno alla loro stella, il Sole.

La stella Trappist viene descritta ‘nana e ultrafredda’, ma il linguaggio astronomico non è come quello comune. Sarà un po’ difficile dedicare alla piccola Trappist una canzone come ‘O sole mio’ per ragioni di fonetica linguistica ma forse, in certe controre d’agosto, i suoi raggi pallidi sarebbero preferibili a quelli infuocati del Sole. Le ‘ricadute’ della scoperta sono considerate una vera manna dal cielo non solo per la scienza, ma per noi terreni, terroni e affini ai quali è sempre più alieno uno status che, indipendentemente dalla zona temperata nel quale ha messo radici,  si rivela ogni giorno sempre meno compatibile con qualsiasi forma di vita, specialmente se ‘intelligente’. Sui nuovi pianeti la ‘vita intelligente’ non c’è ancora, ma si spera in forme elementari di vita, ricche delle affascinanti prospettive di Ray Bradbury che trasformerebbero gli emigranti di oggi in pionieri di una vita nuova, priva della malerba della invivibilità che la vita un tempo ‘intelligente’ ora solo ‘furba’ della Terra ha lasciato attecchire e prosperare.

E poi questo dono che ci viene dal cielo ha un numero portafortuna, il Sette: Sette come le Stelle dell’Orsa, le Pleiadi e i Colli di Roma, come i Peccati capitali e le Virtù, le Arti liberali e i Samurai, i Nani e il Settebello delle carte napoletane, i Sigilli dell’Apocalisse e le Sette spose per Sette fratelli, come le Vite dei gatti e i Giorni della Settimana, le Meraviglie del mondo e i Re di Roma, le Vacche grasse e magre del Faraone, i Sette contro Tebe e le piaghe d’Egitto, le Eolie e le Canarie, i Sacramenti e gli Angeli del giorno del giudizio, come le note di un notturno e di una serenata, i Sette mari greci e i cieli della cosmologia medioevale dei quali il Settimo è sinonimo della massima felicità. Quanto ai tre pianeti più vicini e temperati, che verranno indagati, sondati, scandagliati per primi, offriranno certo il passepartout per un approccio più rapido agli altri. Sono tre, vicino a noi, vaganti nei loro cieli e ignari, come noi fino a poco fa, di averci per vicini. Sulla loro superficie screpolata o umida, forse timidamente erbosa, è scritta la storia di buona parte dell’universo. Anche il loro numero gioca a favore delle coincidenze perché su una pietra, incisa  millenni fa e ritrovata nel 1799 nella campagna d’Egitto di Napoleone, il decreto di un giovanissimo re, Tolomeo V, venne scritto in Tre lingue. Dalla versione greca si sono potute interpretare le altre due, scritte in egiziano geroglifico, lingua degli Dei e in quello demotico, lingua comune. E così, attraverso tre lingue a confronto, furono rivelati al mondo l’arte, la scienza, la storia, la letteratura e tutto l’immenso patrimonio del sapere egiziano. I tre pianeti possono essere la nuova pietra di paragone, le tre lingue della Stele di Rosetta che ci ha aiutato a scoprire, a conoscere e ad amare una delle più affascinanti parti della storia e del mondo. 





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