Diritto e pubblicita'

I princìpi costituzionali dei pubblicitari

    di Silvio Fabris

C’è la consapevolezza che ormai la pubblicità rappresenti uno dei cardini di ogni sistema economico. Persino chi la contesta come espressione tipica del consumismo, che turba la privacy, non può ignorare che essa non è importante solo sotto il profilo economico, ma anche nei riflessi etici, sociali, psicologici, del costume e del linguaggio. Per molti decenni il diritto ha praticamente ignorato l’esistenza della pubblicità nel senso moderno.

È vero che esistono leggi che regolano settori della pubblicità, ma il quadro legislativo è frammentario e incompleto e chi è chiamato ad applicare la legge va in difficoltà. Chi si occupa di comunicazione d’impresa sa che il pubblico non va ingannato, con il diritto del concorrente a non essere leso e contemporaneamente con il diritto dei cittadini a non essere danneggiati o infastiditi. Noi pubblicitari abbiamo il diritto di comunicare: vedi la Costituzione, art. 21 diritto di manifestazione del pensiero e art. 41 libertà dell’iniziativa economica privata. Quindi, stabilito che la pubblicità ha una funzione sociale, non è vero che l’unica sua giustificazione sia l’interesse di chi la diffonde. Ma una componente prevalente è che possiamo identificare nel diritto dei cittadini a ricevere l’informazione economica. Riconoscendo, quindi, all’informazione economica la rispondenza ad un pubblico interesse, cadono evidentemente tutte le perplessità a cui accennavo prima.

La comunicazione pubblicitaria deve avere piena cittadinanza fra le norme di comunicazione tutelate dall’art. 21 in relazione alla funzione che essa svolge, la quale è senz’altro rispondente alle finalità della costituzione. 





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