Fu vera gloria

La celebrazione delle Quattro Giornate di Napoli nel segno di Maddalena Cerasuolo

    di Maria Regina De Luca

Il quesito che Manzoni rivolge ai posteri nella sua ode per la morte di Napoleone dà il titolo al convegno di studi storici tenutosi recentemente al Castello di Desenzano del Garda, quasi contemporaneamente alle celebrazioni a Napoli del settantaquattresimo anniversario delle Quattro Giornate che hanno visto enti pubblici e privati, scuole, biblioteche, studiosi e gruppi di ricerca partecipare compatti all’organizzazione dell’evento diretto a rinnovare la memoria di quanto avvenne a Napoli in quel settembre che segnò una virata epocale della storia. L’offerta è stata tra le più varie. Mostre, concerti, spettacoli, convegni, presentazioni di libri e corone di lauro nei punti strategici degli avvenimenti hanno sollecitato l’affluenza intensa e partecipe del pubblico, non solo napoletano, che ha preso visione delle testimonianze di quanto avvenne negli anni più bui del secolo breve, il lungo periodo di violenze e di dolore che spinse la città a insorgere per riscattarsi dalla più intollerabile delle ingiurie che un popolo può subire: la perdita della libertà fisica, intellettuale e spirituale. Se rievochiamo l’interrogativo di Manzoni è perché le Quattro Giornate non sono state sempre considerate da tutte le forze politiche e culturali momenti di eroismo e di gloria. Come le due Italie del secondo dopoguerra, anche le ‘resistenze’ contro il nemico sono state considerate due, anzi una: quella dei partigiani del nord contro gl’invasori, validissima ed eroica, ma che degenerò in guerra civile, particolare sempre trascurato nelle rievocazioni ufficiali. Anche a Napoli non mancarono ottuse prese di posizione da parte di increduli del capovolgimento delle sorti del conflitto, ma quel che rende le Quattro  giornate di Napoli un evento da incastonare nella memoria storica dell’umanità è l’essere state prova identitaria di un popolo che, pur assuefatto alle dominazioni esterne, non ne sopportò mai gli attentati alla libertà dello spirito e del pensiero. Come allora, anche oggi tutta la città è sede dell’evento, dall’ex Ospedale della Pace al Mausoleo di Posillipo al Liceo Sannazaro alle piazze-teatro della insurrezione.

Due manifestazioni nel segno di Maddalena Cerasuolo, un corteo e una cerimonia sul ponte della Sanità dove verrà ricordata il 23 ottobre, diciottesimo anniversario della sua morte quale emblema di tutto quanto avvenne in quel lontano settembre. Ella è al centro della scena, combatte fianco a fianco con gli insorti e fa da portavoce e da porta-armi tra le improvvisate trincee e il ‘fronte’ dove, dietro improbabili barricate, il popolo in ogni sua componente d’età, di classe sociale e di cultura, lotta nel nome della libertà: un popolo ‘male armato e solo in Italia’ che capovolge in quattro giorni di lotta disperata le sorti di una guerra che sarebbe durata nel resto del Paese altri due dolorosissimi anni scrivendo, senza saperlo, una pagina di storia, di eroismo e di civiltà. In tal senso è riportata nel film ‘Le quattro giornate di Napoli’ di Nanni Loy, forse la più sincera e appassionata testimonianza della gloriosa rivolta napoletana. In quei giorni, la Napoli dalle molte anime si ritrovò unita nel comune bisogno di scrollare il giogo intollerabile della schiavitù di pensiero, di mente, di cuore. La stessa sintonia si è verificata nella recente commemorazione dell’ anniversario che ha visto la collaborazione attivissima e appassionata, tra gli altri, di Gennaro Morgese, nipote del tenero Gennarino Capuozzo, martire medaglia d’oro delle Quattro Giornate e figlio di Maddalena Cerasuolo alla quale è oggi intestato il Ponte della Sanità che, per suo merito, non venne fatto saltare dai nemici in fuga. Nella poesia ‘Matalena’ che le ha dedicato, Gennaro Morgese fa ritornare la fanciulla che lotta nel nome delle ‘case sgarrupate’, della morte dei giovani che ‘ha trafitto di spade il cuore delle madri’, della sua disperata dedizione a una causa giusta, e ci sembra di vederla questa bella ragazza bruna aiutare gli insorti, porgere loro le armi, lottare a sua volta viso a viso col nemico ‘rischiando ogni momento la vita in un mare di dolore e di sangue.’

Nel suo ricordo e in quello di quanti le furono compagni di lotta e di eroismo, citiamo una lapide dedicata agli insorti di qualche secolo fa, “ai popolani di Napoli che nelle oneste giornate del luglio 1547, laceri, male armati e soli d’Italia, francamente pugnando nelle vie, nelle case, contro le migliori truppe d’Europa, tennero da soli lontano l’obbrobrio dell’Inquisizione spagnola provando, ancora una volta, che il servaggio è male volontario di popolo ed è colpa dei servi più che dei padroni.”Come si vede, ogni tanto la storia da ragione a Vico, e ci presenta i suoi ricorsi quali ammonizioni e lezioni di futuro.





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