Quando Troisi rinuncio' al cachet di Sanremo

Oltre a essere un grande artista fu un grande signore. L'aneddoto dell'Ariston

    di Amedeo Forastiere

Era il quattro giugno del 1994. A soli quarantun anni Massimo Troisi se ne andava. Nato in un piccolo paesino alle porte di Napoli, San Giorgio a Cremano, dove la vita è molto più difficile rispetto a chi nasce nella grande città. Cresce in una casa piccola, e sovraffollata (cinque fratelli, due genitori, due nonni e cinque nipoti) Uno così o ha il talento artistico nel Dna o si rassegna all’anonimato.

Ancora studente comincia a interessarsi al teatro, iniziando a recitare in un gruppo “I Saraceni” di cui faceva parte Lello Arena, Enzo Decaro e altri giovani. Nel 1972 lo stesso gruppo fonda il Centro Teatro Spazio, all’interno di un ex garage a San Giorgio a Cremano. In principio era in scena con la tradizione del teatro napoletano: Viviani, Eduardo. Poi nel 1977 nasce la Smorfia: Troisi, Decaro, Arena. Cominciano a recitare al Sancarluccio di Napoli, il successo teatrale che ben presto si trasformerà in uno più grande, quello televisivo con Non Stop. Era nata una nuova comicità, tutta parlata in dialetto che non faceva storcere il naso ai nordici. Poi seguirono Le sberle, e tante altre trasmissioni. I tre ragazzi napoletani piacevano, ma quello che prendeva  di più il pubblico, con la sua spontaneità era lui, Massimo Troisi.

Spesso faceva battute fuori copione, perché magari in quel momento pensava che fosse meglio cambiare. Questo accadeva dopo qualche minuto inizio spettacolo, lui da grande artista si studiava il pubblico che aveva di fronte. Bravi Decaro e Arena che lo seguivano a ruota. Non ha mai rinunciato alla sua lingua, il napoletano sia nei film sia nelle interviste, quando capitava di avere di fronte un nordico allora cercava quella frase dialettale comprensibile. Ha sempre dichiarato di essere pigro. In una sua ospitata a Domenica in, alla domanda di Pippo Baudo quale fosse il tipo di donna che preferiva, rispose, sempre con quell’aria da ragazzo ingenuo. “Pippo, per me la donna ideale è quella di un altro”. Baudo: “Scusa Massimo, come la donna di un altro?" Lui senza cambiare espressione rispose: “Pippo devi sapere che io sono pigro, spesso non mi va di uscire, allora la donna di un altro, magari ha un marito geloso, la sera non può uscire, la domenica deva stare in casa, un weekend è impensabile, cosi sto tranquillo”. 

Ho avuto la fortuna di assistere a un episodio della vita di Troisi che ne fa capire la grandezza. C’è un aneddoto, fattariello come avrebbe detto lui, che solo le poche persone presenti quel pomeriggio all’Ariston conoscono. Era il 1981, Troisi esordì al cinema, non solo come attore ma anche come regista e autore. con il film Ricomincio da tre. Grande successo, ormai il giovane ragazzo di San Giorno a Cremano era diventato una star. Tutte le trasmissioni lo volevano come ospite. Il grande Gianni Ravera patron indiscusso del festival di Sanremo, pensò di invitare come ospite Massimo Troisi. Tutti gli autori furono d’accordo, l’esibizione del giovane attore napoletano avrebbe garantito ascolti altissimi.

Il pomeriggio si facevano le prove, l’ingresso all’Ariston era consentito solo agli addetti ai lavori con regolare tesserino con la foto. Mi trovavo in fondo al teatro, c’era Troisi con un gruppetto di giornalisti che tentavano di intervistarlo. Poi c’erano i soliti produttori, discografici, impresari, erano cinque o sei persone, tra questi c’ero anch’io. Arriva Ravera, va diritto da Troisi e gli domanda: “Troisi dopo che ha finito l’intervista mi porta il copione?” Massimo, tomo tomo, cacchio cacchio, gli risponde. “Commendatore  il copione non ce l’ho.” Ravera: “Allora vada nel mio ufficio, troverà tutto quello che le occorre, anche gli autori, il copione lo farete insieme”.La risposta fu breve e concisa: "Commendatò, io non uso copioni, improvviso, seguendo le reazioni del pubblico, sono loro il mio copione”.

Ravera infastidito da quella risposta, avendo avuto problemi proprio l’anno prima con Benigni, che nel monologo improvvisato fece una battuta sul Papa non gradita dal Vaticano. disse: “Allora Troisi, lei non si esibirà. Il suo cachet le verrà regolarmente riconosciuto”. E lì uscì fuori la genialità di Troisi, che non fu una delle sue battute, ma qualcosa di molto più grande. “No commendatore non è giusto darmi il cachet se non mi esibisco, grazie lo stesso”.

Nessun giornalista ne scrisse sui giornali. Tra il gruppo degli addetti ai lavori c’era uno storico impresario romano che aveva vissuto il periodo della dolce vita, delle notti movimentate in via Veneto. Era il Marchese Antonio Gerini, con il suo modo di parlare da vero nobile, posato e garbato, la sigaretta sempre tra le dita, rivolgendosi a noi disse: "Questo ragazzo” - tutti quelli che erano più giovani di lui li chiamava così - oltre a essere un grande attore, è soprattutto una persona perbene, un gran signore”.





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