Come fenici felici

Al carcere femminile di Pozzuoli le detenute si raccontano in scena

    di Enza Silvestrini

“Che cos’è un carcere?” mi chiedo varcandone la soglia per la prima volta. È una muraglia, una cella, una casa, un mondo fuori dal mondo, un pianeta disperso e lontano a cui, se sei fuori, non pensi. Mattone su mattone qui cresce la solitudine. Dal mondo arrivano voci, visite, indumenti, la torta di compleanno di un parente, la foto di un amico per vedere cosa è cambiato, ma poi si sta qui con estranei che diventano troppo vicini, si sta nelle regole di un’altra vita a ricordare quella che sta fuori e che, forse, aspetta.

Il carcere femminile di Pozzuoli è un palazzo che guarda il mare, pieno di luce e di un cortile silenzioso. È il 4 maggio 2018 e un gruppo di detenute mette in scena “…come fenici felici, storie di rinascite”, spettacolo che conclude un anno scolastico perché, nonostante tutto, la scuola c’è anche in carcere.

Un gruppo di docenti, donne appassionatamente ostinate, le ha condotte, attraverso libri, storie, canzoni, incontri, a condividere una parte di sé, quella più dolente e oscura. Ma Luciana Pennino, ideatrice del progetto, Angela Cicala, docente e regista, e le docenti che con queste donne hanno scelto di stare, sanno che attraversare insieme il dolore fa germogliare il seme della rinascita.

Sulla scena nuda, le donne si raccontano. C’è Anna che splende nella delicatezza dei suoi movimenti, ci sono Assunta, Giovanna, Ludmilla, Barbara, Beauty, Celine, Cinzia che hanno sguardi pieni di una saggezza antica, c’è Flora che da piccola non voleva stare nella fila delle femmine, ma che ora sa chi è e questo le basta, ci sono Immacolata, Maria, Mena, Samira, Rosario, Ornella, Pina, Rosa, e Claudia che scandiscono le parole con fierezza per donarle a noi, c’è Peace che ha gli occhi sinceri.

Sono donne, mogli, nonne, anziane, giovani, di nazionalitàdiverse, sono madri, soprattutto di se stesse. Un istante ha cambiato le loro esistenze. Per sempre. Ora sono qui, a dirci con parole e gesti misurati, scelti con cura e rispetto, che la vita è questione di sogni, di incubi che ci tengono in ostaggio con la rabbia e la paura. Ma oggi Claudia ha sognato di essere un cantiere in costruzione: calce, pietre, acqua, coraggio, lavoro e, soprattutto, un obiettivo.

La commozione è densa, ci avvolge come una coperta calda. Nessuno ha voglia di andar via quando lo spettacolo finisce: vogliamo parlare o anche solo guardarci negli occhi. Quando esco, i pensieri di prima sono lontani. Riesco solo a domandarmi “da quanto tempo sono chiusa fuori?”





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