LIBRI Levania

Il “condominio Napoli” visto dal lirismo della rivista di poesia diretta da Eugenio Lucrezi

    di Francesco Iodice

Molto ormai si sa del mito e mistero di Emily Dickinson, la più grande poeta americana, e non solo. Donna particolare, affascinante, forte, discreta che, nel silenzio della sua stanza, al primo piano della casa paterna, visse la passione per la poesia, per la lettura e la scrittura. Ma visse una passione, ancora più importante: quella per la vita. Le sue “sillabe di seta” hanno inondato il mondo a mostrare come l’emozione sia un’esperienza infinita. Cosa c’entra questo con la recensione di un libro? C’entra, eccome!

Il carissimo amico e collega – starei per dire anche altro, ma per non peccare di presunzione, mi astengo – Eugenio Lucrezi direttore del magazine "Levania, rivista di poesia", nel numero di novembre 2015 (Iuppiter Edizioni, € 10,00) nella bella (e per me utilissima prefazione) tira in mezzo proprio la grandissima scrittirice di “una delle figurazioni poetiche della città (Napoli, ndr) più potenti ed universalmente note”, cioè la lirica A still Volcano life che fu la protagonista del precedente numero di Levania, presentato nella primavera del 2015 al centro culturale MA Movimento Aperto dell’artista Ilia Tufano.

I motivi dello spazio dedicato alla Dickinson in quella occasione  erano – e sono ancora  – molteplici. Innanzitutto, la poesia è bellissima. Emily Dickinson fa un autoritratto. Una silenziosa ma vulcanica vitalità, il Vesuvio, che preferisce rivelarsi di notte, quando il buio impedisce alla luce di abbagliare e cancellare ciò che è nascosto, che è dentro di noi. Un quieto stile di terremoto (evidente dicotomia), così ben nascosto che fa vedere il quieto e cela il terremoto, e non fa minimamente insospettire chi è nato lontano da vulcani, simboleggiati dalle labbra dei loro crateri, che si aprono e si richiudono dissolvendo città intere. Un ritratto autobiografico esattamente conforme a ciò che avveniva ad Amherst, città dove morì: un vulcano, un terremoto che covava sotto la cenere ("endangering" significa appunto "covare sotto la cenere", al posto di "subtle") in una tranquilla e borghese casa di Main Street, senza che nessuno sospettasse minimamente il movimento tellurico che aveva accanto.

Di questo capolavoro – e veniamo al secondo motivo – molti bravissimi poeti (e poetesse) tradussero A still Volcano life in un proprio italiano e secondo la personale ispirazione poetica. Fu un’operazione straordinariamente bella e riuscita. Ma, forse e senza forse, il vero motivo per cui il caro Eugenio (e compagni, perché dirige un Comitato di Redazione composto da ben otto autori) nell’editoriale tratta della Dickinson è costituito dalla scarsissima conoscenza che la poesia ha nel “condomino Napoli”,  stupefacente definizione, equivalente ad una foto, del titolo di una lirica di Corrado Benigni (il significato è chiarissimo perché allude all’architettura pluriprospettica  e non ordinabile, all’atmosfera caotica e vociferante, allo strepitio insopportabile del traffico, al caos degli innumerevoli vicoli e anfratti in decadimento). Pur volendo, Benigni con una sola parola non avrebbe potuto dire di più. 

La mancanza di spazio mi impedisce – e non è un luogo comune – di dilungarmi. Meglio così.

Comprate tutti la rivista – che, tra l’altro, è uno Speciale Napoli – è abbellita da splendide immagini a fronte di ogni poesia e congratulazioni ad Eugenio, agli autori invitati ed alla sua task force.





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