Altalena, mito greco e gioco antico

Viaggio tra i divertimenti di una volta

    di Amedeo Forastiere

Parlavo con il mio amico Peppe a piazza Immacolata al Vomero, dove gestisce una paninoteca. Nella piazzetta, dove di sera si fermano tanti ragazzi della movida, vedo un’altalena, anzi due attaccate. Vengo colpito da due bambine, che spinte dalle madri si divertono a quel vecchio gioco che non tramonta mai. Un gioco antico come il mondo che ha accompagnato la nostra evoluzione e ancora.  Tutti abbiamo provato l’emozione di guardare il cielo diventare di qualche passo più vicino a noi, lasciandoci dondolare per vivere l’ebbrezza di volare. Nei secoli senza subire cambiamenti Intramontabile, sfida i tempi e le tecnologie. Semplice due corde legate a una trave, o ramo d’albero, un sediolino; spesso riciclato e come una sorta di magia nasce il gioco più antico del mondo. Molti non sanno però, che l’altalena nasce da una tragedia greca, proprio così. Procediamo per tempi, quelli molto lontani, dell’antica Grecia. Vi parlo di quando Clitennestra moglie di Agamennone, lo fece uccidere dal suo amante Egisto. Ma il figlio Oreste per vendicare il padre, tradito e ammazzato, uccise la madre infedele e assassina. Anche il quel lontano IV secolo a.C. Il matricidio era una colpa inespiabile. Perseguitato dal rimorso, Oreste fuggì, inseguito oltre che dalle Erinni; nella mitologia greca le personificazioni femminili della vendetta su chi colpiva la propria famiglia.  Per fargli pagare il terribile gesto, inseguito anche dalla sorellastra Erigone, figlia che Clitennestra aveva auto dal suo amante Egisto. Quando Oreste giunse ad Atene fu assolto: “Il vero gesto, decretò la dea Atena, non è la madre, bensì il padre”. A questo punto Erigone disperata, si impiccò. La notizia si sparse, le vergini ateniesi che avevano avuto la stessa tragedia in famiglia, come se fossero state contagiate, presero a impiccarsi in massa. La città rischiò di estinguersi. Preoccupatissimi, gli ateniesi si precipitarono a interpellare l’oracolo di Apollo, che suggerì un rimedio: legare delle corde agli alberi, così che le ragazze potessero dondolarsi nell’aria, come quelle che si impiccavano, ma senza perdere la vita. La città fu salva, gli ateniesi furono felici, le giovani ragazze ancor di più. Fu aggiunta una seconda corda per dondolarsi meglio, nacque così l’altalena,  diventando il gioco preferito dalle ragazze di tutti tempi.

L’altalena dopo aver conquistato il mondo come gioco divertente spensierato e pieno di ebbrezza. Divenne anche gioco di tentazione erotica,  provocazione. Il pittore francese Jeau-Honoré Fragonard, nel 1767 realizzò una delle sue più belle opere, chiamata: I fortunati casi dell’altalena. Ritrae una giovane fanciulla aristocratica che solleva il lungo vestito con sguardo ammiccante verso un giovane nascosto fra i cespugli, mentre un uomo più anziano la spinge. Ha un aspetto sfavillante, dove i colori creano una trama cromatica di grande sensualità.

Cosa c’è ancora dietro il gioco l’altalena? La vertigine intesa come ebbrezza che, sollevandoci dal mondo reale e dalla sfera razionale ci porta in quella “terra di mezzo” sospesa tra, cielo e terra, umana e divina. Torniamo alle due bambine dell’altalena a piazza Immacolata al vomero. Mentre il mio amico Peppe continua a parlare; ormai non lo seguo più, le due bambine mi hanno rapito.Le osservo con attenzione, avranno avuto la stessa età o forse qualche anno di differenza, tre o quattro anni, ma sono molto diverse, ed è quella diversità che mi fa riflettere, sulla preziosità dell’altalena vista; forse rischio di esagerare. Testo psicoattitudinale?  Ma sì, ci proviamo.

Una delle due ama essere spinata dalla madre sempre più forte, che la porta in alto, poi quando l’altalena va da sola, con la manina caccia la madre, vuole godersi tutta l’ebbrezza del volo. La madre ferma, con le braccia incrociate, la bambina riesce a dondolarsi da sola, ci prova gusto, gli occhi sono lucidi di gioia. Quando l’altalena comincia a perdere velocità, la bambina per spingere sempre da sola; non vuole l’aiuto della madre. Scivola, cada dal sediolino, si rialza da sola, rimonta e continua sempre più veloce, sempre più in alto. L’altra, è tentata dall’ebbrezza di volare, ma non appena il sediolino  va in alto chiama vicino la madre, la tiene per mano, ha paura. Sicuramente queste due bambine hanno due personalità completamente diverse, nella vita prenderanno strade probabilmente opposte. Una ama il rischio e lo vuole affrontare, le basta solo una piccola spinta per volare da sola.

L’altra, la più timida, vede la sua amichetta ed è tentata a imitarla, vuole dimostrare che anch’essa è coraggiosa, ma non ce la fa. Guardando queste due bambine, ho pensato ai tanti, testi, studi, che speso fanno sentire i bambini malati, di una malattia che non esiste. Basterebbe osservarli mentre giocano, per non condizionarli e farli muovere nella piena libertà, bisogna non farsi vedere. Probabilmente potremmo capire tante cose dei nostri bambini. Anche su di noi, se conservassimo quel ricordo sempre vivo di quando ci lasciavamo dondolare dall’altalena.

“Tu non ricordi ma in un tempo così lontano che non sembra stato ci siamo dondolati su un’altalena. Che non finisse mai quel dondolino fu, l’unica preghiera in senso stretto che in tutta la mia vita io abbia levato al cielo” (Michele Mari) 





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