L'Irpinia in prosa

Tredici penne raccontano una terra epica e malinconica nell’antologia “È verde il Paradiso”

    di Vincenzo Maio

Tredici storie di autori irpini “doc” compongono l’antologia “È verde il Paradiso” (ed. Natan, nella foto). Racconti che ci restituiscono un'Irpinia vera, autentica, terra di suggestioni forti, terra di “lupi”, abitata da gente vera, orgogliosa, laboriosa, raccontata da Ersilia Bersabea Cirillo, Antonetta Carrabs, Maria Rosaria Del Guercio, Francesco Di Sibio, Giannino Di Stasio, Franco Dragone, Giandonato Giordano, Bruno Guerriero, Silvana Lattanzio, Tancredi Lisena, Oscar Magi, Angelo Siciliano, Maria Ivana Tanga, Michele Vespasiano.

«Tredici storie nomadi che narrano un’Irpinia epica e malinconica – si legge nella prefazione curata da Michele Vespasiano e Giandonato Giordano – terra dell’incanto, ma anche del disincanto, terra di sofferte partenze e di struggenti ritorni». Una terra difficile, a cavallo tra Tirreno e Adriatico, una terra “dell’osso”, della fatica, degli stenti, della miseria, dei terremoti. "Una terra del silenzio”, quel «silenzio tipico dei paesi poveri, del nostro Sud contadino, abbandonato, per troppo tempo, al suo destino – afferma Maria Ivana Tanga nel suo racconto “Ottobre vallatese” – Silenzio e solitudine tra le pieghe, tra le rughe delle montagne irpine». Montagne punteggiate da piccoli paesi, raccolti intorno al campanile e alla piazza, evocanti l’unione, l’incontro tra persone. Veri e propri “nidi di terra”, intrisi di grande umanità, di una solidarietà quasi istintiva. La pietas, la collaborazione tra vicini, parenti, amici era un tratto distintivo delle comunità della “terra di mezzo”, di quei paesi dell’Appennino meridionale, caratterizzati da una “cultura della comunità”, come ci ricordano i curatori dell’antologia. Una “cultura della comunità” che si sostanzia in un modello di società aperto agli altri, fondata sulla socialità, sull’ incontro, sull’interazione.

Pensiamo alla grande cucina descritta dalla Tanga, vero e proprio “cuore” pulsante della casa, luogo dell’incontro per antonomasia, dominato da un camino sempre acceso, coronato da amiche, da vicine, da parenti. «Il camino è il vero reuccio degli inverni irpini, “ombelico” della casa, centro della socialità contadina, intorno al quale si svolgono gli atti più umani, più importanti della comunità familiare», si legge in “Ottobre vallatese”. Ricordiamo come presso le koinè contadine la casa fosse la custode della “memoria storica” della famiglia, delle «radici familiari nelle quali si sedimentava il vissuto di generazioni in generazioni, vissute fra quei muri che sembravano trasudare umori e respiri dei tanti che, nello scorrere del tempo, avevano occupato quelle stanze», si legge nel racconto “Le chiavi di casa” di Mariarosaria Del Guercio.

Visioni, ricordi, frammenti di memorie, che testimoniano dell’ amore che i tredici autori irpini provano nei confronti dei loro paesi natii, per le loro “piccole patrie”. Possiamo dire che il “filo rosso” che accomuna i tredici racconti che compongono "È verde il Paradiso" è il forte sentimento di appartenenza ad una terra antica e forte che «ci dice da dove veniamo, chi siamo», ci ricorda Antonetta Carrabs in “Irpinia, antica mia terra dolce”. «C'è voluto del tempo perché le zolle di terra incollate ai nostri sandali si staccassero e risalissero verso il cuore in particelle di polvere impregnate d’estate», scrive il regista Franco Dragone, nella suggestiva “post-fazione” all’opera. Le montagne, le amatissime montagne irpine sono «patrimonio dell’anima, particelle della genetica spirituale» della bambina protagonista del racconto di Maria Ivana Tanga.

Piccole comunità quelle raccontate in “È verde il Paradiso” che sono delle vere e proprie “piccole patrie”: un condensato di umori, di tradizioni, di passato e di presente, di memorie e di testimonianze che sembrano restituire l’immagine di un “piccolo mondo antico”, intorno al quale è possibile costruire un modello alternativo di comunità, un modello da contrapporre alla dominante cultura dell’ omologazione, della globalizzazione. In tal senso, questa antologia risulta davvero uno strumento prezioso per una rilettura delle nostre vite, delle nostre scelte, in un’ottica di speranza e di sviluppo possibile.





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