La maledizione dell'erede

Perché l'opera teatrale tratta dai romanzi di Harry Potter non convince

    di Adriano De Simone

Il magico trio di maghetti che ha cambiato il modo di vedere la magia è a riposo da 19 anni ma, se è vero che buon sangue non mente, qualche sventura non cesserà di colpire i loro figli: Albus e Rose, cui si aggiungerà Scorpius Malfoy, figlio di Draco. L'opera di quattro atti, scritta da Jack Thorne e John Tiffany, sotto l'occhio vigile di J. K. Rowling, è presentata al pubblico come copione già inscenato al Palace Theatre of London, perdendo però quella romanzistica tanto cara ai fan che per anni hanno seguito la saga di Harry Potter.

A ben vedere, questa non è la sola pecca. Il racconto, infatti, sembra muoversi sui passi esatti dei romanzi precedenti, dai quali almeno inizialmente, non differisce neanche per le virgole. Si accenna ad un qualche tentativo di discostamento da trame già sentite ma con risultati che si legano poco e male a quel mondo di maghi e streghe curato fino al più minuto dei dettagli. Una polisucco preparata in 5 minuti di buona cucina, una giratempo che non ti pretende invisibile nel passato... Insomma da capo a fondo le incoerenze sono tante e persino il movente dell'intera opera appare piuttosto debole: può il complesso di un bambino nei confronti del padre porre a repentaglio la storia di quei sette anni ad Hogwarts che si conclusero con la decisiva vittoria del bene sul male?

Dunque benché senza un motivo effettivamente forte, Albus, Scorpius e Rose, tre bambini in tutto uguali ai cari Harry, Ron ed Hermione affrontano una lotta contro il male scandita a colpi di giratempo, nel tentativo di riportare in vita Cedric Diggory, il giovane mago rimasto ucciso durante il torneo tre maghi. Di contro dovranno superare inganni, incantesimi, indovinelli e colpo di scena: l'erede di Lord Voldemort.

Chiunque si sia accompagnato ad Harry Potter negli ultimi 15 anni, si accosta all'opera con grande interesse ma, fatto salvo per qualche sporadico exploit di fantasia realmente meritevole, resta con l'amaro pensiero di essere incappato in una trovata commerciale. Tanto che la speranza conclude: “Forse andrebbe vista a teatro”. 





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