Forza librerie, alla malora il pensiero fritto

La presunta morte del libro e l'assenza delle istituzioni

    di Max De Francesco

La chiusura della storica libreria Loffredo, la conseguente reazione dei cittadini impegnati a ridare al Vomero, con la formula dell’azionariato popolare, un centro di smistamento culturale e la giornata di mobilitazione in difesa dei librai di Port’Alba dovrebbero aprire cervello e cuore a chi è chiamato a gestire fondi pubblici, ad amministrarci, e, quindi, a creare, come si dice in politica, “opportunità di crescita”. 

Il decadimento di una città si misura dalle sue vie. Prendiamone una a caso e, oltre a soffermarci su buche, sporcizia, assenza di verde, palazzi pericolanti, invasione di abusivi, decoro architettonico, guardiamo cosa offre commercialmente e socialmente. Se, in un batter d’anni, Napoli ha strade sempre più occupate da patatinerie, centri scommesse, outlet “compri e fuggi”, c’è da domandarsi se non sia il caso di difendere i presìdi culturali e di inaugurarne altri. Nessuna crociata contro il fritto e la “bolletta”, ma ci chiediamo perché non puntare, attraverso un patto tra istituzioni, editori, librai e associazioni civiche all’apertura di nuove librerie, innovative e a dimensione di lettore, nelle vie “occupate” della città. 


Da troppo tempo siamo costretti a seguire la bara del libro, a veder sparire preziosi luoghi d’intrattenimento tra scaffali svuotati e gli affranti librai di una volta che, quando entravi nelle loro farmacie di romanzi, ti consigliavano la cura letteraria giusta per ritrovare sogni e superare malanni di cuore. Ai funerali delle librerie e della cultura napoletana le istituzioni erano assenti. La non presenza, infondo, è giustificabi-le: perché presentarsi al rito funebre se non si è fatto nulla per evitarlo? Perché partecipare se è totalmente mancata una strategia in difesa del libro e della sua sofferente filiera? 


Nel 2013, dopo un paio d’anni di palleggiamenti in Consiglio regionale, fu approvata, con i peana del Corecom, la legge di sostegno all’editoria. Il fondo previsto era di 100mila euro per l’anno 2012, che, stando alle intenzioni della Regione, sarebbe dovuto servire a promuovere e sostenere «il libro, l'informazione locale in tutte le sue forme e la produzione della piccola e media impresa editoriale» e ad assicurare «gli incentivi per lo sviluppo di contenuti digitali, siti web, attività di ristrutturazione aziendale e ammodernamento tecnologico, la nascita di nuove imprese nel comparto, le librerie campane, le emeroteche...». 

Parole. Con 100mila euro, poi, parliamoci chiaro, che svolta si può dare all’intero comparto? Siamo alle solite: mancanza di visione, leggina “prenditempo” che contempla l’intero mondo dell’editoria senza capirne differenze e criticità; nessuna idea sul piatto, parole allineate senza un ragionamento profondo sullo stato reale della piccola e media editoria locale. L’elenco delle intenzioni è la fine delle istituzioni. In questi anni abbiamo assistito allo sperpero di una montagna di fondi pubblici (quasi 30 milioni di euro) utilizzati per la discutibile Coppa America o ignobilmente frammentati, per soddisfare la rete delle clientele, per la realizzazione dell’invisibile Forum delle Culture. Un utilizzo miope di risorse europee che, finita la festa, non lascerà benefici né economici né strutturali alla città. 

Perché non si è pensato, invece, di destinare una parte dei fondi al rilancio della cultura partenopea con un piano “rivoluzionario” che rimetta al centro della cultura il libro e la lettura, miscelando tradizione e innovazione? «Chi tocca un libro, tocca un uomo», scriveva Henry Miller dopo aver passato in rassegna i libri della sua formazione. Benedetto Croce, in una lettera indirizzata ad Alessandro Casati, raccontando di essere stato colto di sorpresa dallo scoppio improvviso del bombardamento del 4 dicembre 1942, costretto così a rifugiarsi a Sorrento, confessò il dolore non solo per l’evento ma anche perché poteva portare con sé, trasferendosi, solo poche migliaia di volumi, una minima parte degli oltre 150 mila della sua biblioteca: «Questa - scrive il filosofo - è la trafittura più dolorosa che io provo. All’età mia, quando si è esaurito o quasi il compito della propria vita, la morte non spaventa, ma la perdita di quel patrimonio letterario colpirebbe non la mia persona, ma un interesse generale».

Perdere i libri significa smarrire coscienza e memoria, rinunciare al potere della lettura vuol dire ridurre l’energia della fantasia e del linguaggio.  Tullio De Mauro, ultimamente interrogato sull’importanza di leggere, ha detto: «Cinque italiani su cento tra i 14 e i 65 anni non sanno distinguere una lettera da un’altra, una cifra dall’altra. Trentotto lo sanno fare, ma riescono solo a leggere con difficoltà una scritta e a decifrare qualche cifra. Trentatré superano questa condizione ma qui si fermano: un testo scritto che riguardi fatti collettivi, di rilievo anche nella vita quotidiana, è oltre la portata delle loro capacità di lettura e scrittura, un grafico con qualche percentuale è un’icona incomprensibile. Secondo specialisti internazionali, soltanto il 20% della popolazione adulta italiana possiede gli strumenti minimi indispensabili di lettura, scrittura e calcolo necessari per orientarsi in una società contemporanea». 


I dati sulla lettura in Italia non confortano: un recente report sugli anni 2011-2013 del Centro per il Libro e la Lettura sostiene che nel Paese v’è stata una forte diminuzione rispetto al passato della percentuale dei lettori (dal 49% del 2011 al 43% del 2013) e degli acquirenti (dal 44% al 37%), con il Sud che si conferma maglia nera nella lettura e nell’acquisto di libri. Senza dubbio la marginalizzazione dell’oggetto-libro è favorita dal dominio del web, dal potere magico di smartphone e tablet, dalla persistenza della connessione, dall’ideologia dei nativi digitali, allergici alla cultura di carta e alla lettura “lunga” e divoratori d’informazioni “social”, immediatamente condivisibili, fruibili senza impegno. Quarant’anni fa Mimì Rea scriveva: «È molto difficile che il libro si riprenda. Troppe cose congiurano contro di esso: l’automobile, la televisione, il ludismo imperante, il consenso dei tiranni». Congiure col tempo aumentate, eppure quella del libro è una presunta morte: rimane, infatti, una “sacra merce”, per dirla alla Brecht, che ha un mercato e una filiera trafitti dai mutamenti, ma destinati a resistere, e perché no a rinnovarsi, se s’inizia a dargli una visione che non sia “visionaria” ma realistica ed economica. Si cominci allora concretamente con la valorizzazione delle librerie, sostenendo quelle esistenti e creandone di nuove, s’investano soldi per internazionalizzare la produzione degli editori locali, dandogli strumenti e incentivi per una promozione funzionale e a «costi zero», si utilizzino fondi europei non solo per diffondere il valore-libro nelle scuole con una strategia permanente e non con isolate iniziative, ma anche per “formare” realmente, e non con corsi fantasma e cialtroneschi, una nuova figura di libraio che non sia solo addetta alla vendita ma soprattutto alla valorizzazione appassionata della merce. Si lavori, senza perdere tempo, per una Napoli che abbia nelle sue vie più isole letterarie e meno pensiero fritto.





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