Tempo di uccidere, il camaleontico Flaiano

Il romanzo â??sui generisâ? dello scrittore satirico abruzzese

    di Silvio Di Giorgio

Difficilmente un autore satirico italiano, affermato o emergente che sia, ammetterà di essere stato influenzato da satiristi italiani. Vantare legami con l'estero, diretti o indiretti, risulta sempre più affascinante. Nel superficiale pensiero comune conquistare una qualunque turista tedesca ha più valore di un rendez-vous galante con la moglie abruzzese del capoufficio, così come un frullatore made in Taiwan sembra dare più garanzie di un suo collega italiano solo perché la sua marca è farcita di consonanti strane: è una regola non scritta che spesso vale anche per l'arte. Molti, forse, neanche conoscono quali maestri d'ironia ed arguzia abbia conosciuto l'Italia soprattutto, e non poteva essere altrimenti, negli ultimi anni del fascismo e nell'immediato dopoguerra. Ennio Flaiano è uno dei più grandi. Giornalista, sceneggiatore e coautore di film capolavoro come “Guardie e ladri”, “I vitelloni” e “Lo sceicco bianco”, il suo nome è istintivamente associato all'aforisma, alla battuta breve e sferzante che racchiude in sé una sentenza definitiva e senza appello. Non a caso uno tra i suoi libri più rappresentativi è “Diario degli errori”, un concentrato di pensieri, battute e massime immerse nel veleno, ma sempre con intelligenza e lucida premeditazione. Flaiano si è cimentato anche con il romanzo, un po' svogliatamente e con molta insicurezza, come dimostrano le continue revisioni che ha apportato a “Tempo di uccidere” nel corso degli anni. Il romanzo narra la storia, raccontata in prima persona dal protagonista, di un tenente italiano durante la campagna d'Etiopia del 1936. Una vicenda ambientata in uno scenario di guerra in cui la guerra non recita un ruolo principale: protagonista assoluto è il caso che segna irrimediabilmente le scelte psicologiche del protagonista, antieroe in ogni senso, conducendolo in un baratro di errori e reati maldestri che, sorprendentemente, al termine della vicenda resteranno impuniti quasi con dispiacere dell'improvvisato criminale. Ad innescare la serie di eventi saranno infatti un banale mal di denti, una scorciatoia e una pallottola deviata da una pietra. Dopo aver amato Mariam, un'indigena incontrata nella foresta e che poi uccide dopo averla involontariamente ferita con la sua pistola, il soldato ne occulta il cadavere e si allontana cercando di dimenticare l'episodio. Alcuni sintomi gli fanno credere di essere stato contagiato dalla lebbra (Mariam indossava un turbante, lo stesso che tempo dopo vedrà sulla testa di due lebbrose e che saprà essere una sorta di distintivo di chi è affetto da quel male) e cercherà di eliminare chiunque crederà vicino a scoprire i suoi due segreti, l'omicidio e la malattia, perché se la verità venisse a galla non potrebbe tornare in Italia dalla sua Lei. Nessun personaggio ha nome; anche la donna che lo aspetta in Italia è semplicemente “Lei”. Fanno eccezione i tre indigeni che ruotano intorno al protagonista: Mariam, il piccolo Elias, e Johannes, il vecchio con cui il soldato trascorrerà le ultime tormentate settimane della sua latitanza, che sarà tale solo per lui dato che in realtà nessuno lo sta cercando, prima di costituirsi e far ritorno in Italia senza nessuna accusa di reato a suo carico. Chi non conosce Flaiano deve leggere questo romanzo sapendo che a scriverlo non è il “vero” Flaiano: è la stessa avvertenza che suggerirei a chi non conosce Totò e come suo primo film stesse per guardare “Uccellacci e uccellini”di Pasolini. Non concordo con quei critici che si sforzano di trovare ad ogni costo elementi tipici di Flaiano in “Tempo di uccidere”: le immagini surreali (il camaleonte con la sigaretta, la vegetazione di cartapesta) sono pochissime e tutte concentrate nelle prime pagine del romanzo (tranne il camaleonte con la sigaretta che molte pagine dopo ritornerà in abito da sera), così come rari sono gli aforismi (“Era passato solo un colonnello, annoiato come un generale”; “Avevo sbagliato in tutti i sensi. Primo: nel prendere una scorciatoia. Secondo: nel prendere quella”). Tipica di Flaiano, nella vita reale e in molti altri suoi personaggi, è l'abitudine del tenente di prendere appunti, ma elencare questi pochi dati per identificare “Tempo di uccidere” come uno scritto pregno degli elementi di Flaiano è oggettivamente una forzatura. Il romanzo è scritto bene (ad eccezione di due grossi errori di concordanze di tempi ma si tratta certamente di sviste dovute alle continue correzioni dell'autore) e si legge con estremo piacere. “Tempo di uccidere”, per quello che contano i premi ( da “Diario degli errori”: “ Il presidente della giuria porta le briciole ai passeri sul balcone e insieme, per il passero poeta, un verme da un milione”), ha vinto la prima edizione del Premio Strega nel 1947. Nonostante ciò è un libro assolutamente da leggere.





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