Perche' vedere Il caso di O.J. Simpson

Impeccabile scelta degli attori e del taglio narrativo: la serie Netflix sul processo del secolo

    di Mario Vittorio D'Aquino

Fedele, preciso, magistrale. Sono queste le tre principali caratteristiche che possono meglio dipingere la serie Netflix, Il caso O. J. Simpson (2016), pluripremiata agli Emmy Awards 2016, racchiusa nel ciclo American Crime Story e suddivisa in 10 episodi. La narrazione si basa su fatti giuridici realmente accaduti. La scelta dei personaggi e la sublime interpretazione del ruolo, in questo prodotto, hanno completamente scardinato la flemma tipica delle fiction o dei film ambientati in un tribunale e cosparsi troppo di giuridichese. Ma chi è O. J. Simpson e perché il suo caso rimarrà ricordato e – da qualcuno – glorificato per sempre? Orental James Simpson è stato un campione afroamericano di baseball tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’80, entrato a far parte della Pro Football Hall of Fame, la massima aspirazione di ogni giocatore della NFL. Le sue immense capacità sportive, ben presto, si sono sostituite a fatti scandalistici extra campo. Il più grande in assoluto dà origine alla serie scritta da più mani e diretta da vari registi.

La notte tra il 12 e il 13 giugno 1994 sono stati trovati uccisi a Brentwood, in California, Nicole Brown Simpson, ex moglie dell’atleta, e Ronald Goldman, un cameriere che ha trovato quella sera al ristorante gli occhiali da sole di Mrs. Brown e ha deciso di riportarglieli. Barbaramente ammazzati con, rispettivamente, 12 e 20 coltellate, a seguito della scoperta dei corpi, Simpson è stato subito ritenuto responsabile del reato di doppio omicidio. Grazie alla sua spiccata posizione sociale, l’ex giocatore di NFL ha potuto servirsi di avvocati all’avanguardia come Robert Shapiro (le cui vesti sono state prese dall’intramontabile John Travolta) e come lo spregiudicato e influentissimo Johnnie Cochran (Courtney B. Vance) che ha preso poi in mano le redini della difesa, composta anche dall’amico stretto di Simpson, Robert “Bob” Kardashian, interpretato da David Schwimmer, il Ross di Friends. Le prime ricostruzioni del caso sono state affidate all’ex detective Mark Fuhrman che avrebbe trovato dei guanti sporchi di sangue, oggetto cardine del processo, apparentemente appartenenti allo stesso Simpson. Fuhrman si è poi reso protagonista per aver dichiarato il falso durante la testimonianza e il giuramento solenne al tribunale di Los Angeles, dove si è tenuto il processo. Gli avvocati della difesa, inoltre, hanno spinto in maniera feroce per accusare il detective di aver usato nella sua carriera epiteti razzisti contro gli afroamericani e che la sua ideologia politica abbia potuto – in qualche modo – compromettere parte delle prove per incastrare Simpson. Sono stati ritrovati, durante operazioni di ricerca delle prove da parte della difesa, alcuni audio registrati in cui Furhman viene smentito non solo dalle sue stesse dichiarazioni, e per difendersi ha usufruito del quinto emendamento (l’imputato si avvale della facoltà di non rispondere), ma anche ha inveito contro la moglie del giudice, Lance Ito, il quale si trova nel dubbio se può essere in grado di continuare il processo.

Il tema del razzismo e del suprematismo bianco è stato il leitmotiv, la costante, la leva sulla quale la difesa ha spostato l’interesse della giuria. L’accusa rappresentata da Marcia Clark, interpretata in maniera eccelsa da Sarah Paulson (vincitrice di un Emmy grazie a questa serie), ha avuto il ruolo di unica donna tra gli avvocati presenti al tribunale ed è stata bersaglio continuo della stampa, capace – anch’essa sola – di spostare l’opinione pubblica dove soffia il vento. Con la Clark, anche Cristopher Darden (Sterling K. Brown), allora molto giovane e per questa motivazione, si è dimostrato artefice di un errore gravissimo durante una fase cruciale dell’accusa, pregiudicando tanto del lavoro portato avanti dal team che voleva Simpson colpevole. Lo scenario di questa serie è quello di un’America che prova a togliersi di dosso il marchio di aver costruito un sistema sociale che privilegi solo la parte “bianca” della popolazione a discapito delle altre, tesi fortemente portata avanti dal team di Cochran; ma di contro l’accusa può presentare prove schiaccianti sopra ogni ragionevole dubbio, o quasi. Il responso della giuria è stato dato solo in 4 ore e mezza, un tempo record per un’accusa di doppio omicidio.

Considerato da molti “il processo del secolo” per la portata dell’evento e per la persona accusata, il caso fece clamore in tutti gli Stati Uniti e non solo. Per tanti, il processo tracciò un segno indelebile nella storia giuridica a stelle e strisce per l’approccio mediatico della difesa, dato che poche volte fino ad allora avvocati erano riusciti a spostare l’attenzione pubblica su aspetti esterni alla vicenda rendendoli invece centrali e focali agli occhi della giuria, e soprattutto per l’incredibile epilogo con la quale la vicenda si è conclusa.





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