Filide e Demofonte, l'amore lontano

Nuova puntata della rubrica «La persistenza del mito», dedicata al senso della promessa

    di Sveva Della Volpe Mirabelli

“Avevi convenuto di tornare a gettare le ancore alle mie sponde quando le corna della luna si fossero riunite una prima volta a formare il disco completo. Per quattro volte la luna si è nascosta e per quattro volte ha completato nuovamente il suo disco, ma l'onda sitonia non porta con sé navi attiche. Se fai con precisione conto del tempo, che noi innamorati sappiamo calcolare bene, il mio lamento non giunge troppo presto”, sono le parole di protesta di un’innamorata verso lo sposo lontano, che tarda a tornare. È Ovidio che immagina Fillide scrivere a Demofonte.
Lei, figlia di Sitone, re di Tracia. Lui, ateniese, figlio di Teseo.
Si innamorarono, convolarono a nozze, lei portò a lui in dote il suo regno, lui un giorno partì. Era desideroso di rivedere la sua patria, narra Apollodoro. Prima di salutarsi, Fillide gli affidò uno scrigno, contenente alcuni oggetti sacri alla Grande Madre Rea. Gli raccomandò di aprirlo solo qualora non fosse stato in grado di rimetter piede in Tracia. Demofonte, incurante della promessa di ricongiungimento, mise casa a Cipro.

Quando il tempo stabilito fu ormai trascorso, secondo Igino, la principessa per nove volte si recò al lido allungando lo sguardo verso l’orizzonte, non trovando altro che il nudo dorso del mare.
Morì, infine. Maledisse l’amato e si uccise. Sul suo sepolcro spuntarono degli alberi. Ogni anno, nel periodo corrispondente al tragico atto dell’infelice, si dice che secchino e perdano foglie. Ne piangono la scomparsa.
Cosa accadde a Demofonte? E lo scrigno?
Secondo alcune versioni il figlio di Teseo ritornò in Tracia dalla sua sposa, ma era già troppo tardi. Appresa la notizia della morte di Fillide, fu affranto dal lutto. Disperato, abbracciava lo spoglio albero sul sepolcro di lei e piangeva. La pianta, bagnata dalle sue lacrime, prese a fiorire e nacque quello che nel corso delle leggende venne riconosciuto come mandorlo.
Altri miti raccontano del terribile destino di Demofonte. Aperta la cesta, fu preso da un tale spavento da saltare in groppa al proprio cavallo e fuggire a tutta velocità. Inciampò lo sfortunato e cadde sulla sua stessa spada, trafitto.
Forse la promessa non si realizza nell’attesa. Nove volte Fillide l’ha allontanata. Solo l’ultima, la definitiva, l’ha liberata. Solo nella rinuncia si scioglie per germogliare candida tra i rami di un albero, il mandorlo.
La promessa è un dono, non un giogo. Non può essere agita, non può esser sedotta. La speranza non è la sua malìa, ma il più romantico dei suoi capricci. E l’esito appare già sulla bocca di chi la pronuncia nel momento stesso in cui affiora alle labbra.





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