Il principe De Curtis, primatista della tv

A quasi 50 anni dalla morte del grande attore, Napoli tarda nel dedicargli un museo

    di Lidia Girardi

Ci avviciniamo ai 50 anni dalla morte di quello che per tutti era Totò, ma il suo vero nome era molto più lungo e pretenzioso: Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio.

E Napoli, la sua città, ancora fatica a dedicargli un museo che celebri l’incontrastato “principe della risata” nato nel cuore del quartiere Sanità nel 1898.

Uomo gentile, Antonio De Curtis, chiamato fin da piccolo Totò da sua madre, era «nato bellissimo, tutto ricci e boccoli dorati» e, come ironicamente ammetteva, «fu dopo che mi guastai».

 

La sua genialità si concretizzerà, crescendo, in diversi ambiti artistici: oltre alla sua produzione come attore di teatro (con più di 50 titoli) e di cinema (con 97 film), Totò riuscì a splendere come drammaturgo, cantante e soprattutto poeta. Tra i suoi più celebri componimenti ricordiamo «‘A livella» e «Si fosse n’auciello» e la memorabile «Malafemmena», scritta nel 1951.

 

Generoso, onesto, da sempre innamorato delle belle donne che definiva «la cosa più bella che ha inventato il Signore», Totò fu anche un grande amante degli animali: infatti sostenne, economicamente, vari canili e gattili della città di Napoli. Commissionò a due tecnici dell’Università una protesi a due ruote per Mosè, randagio senza zampette posteriori.

Trascorse gli ultimi anni della sua vita quasi nella completa cecità indossando pesanti occhiali neri che toglieva soltanto sul set. E, all’improvviso, mentre recitava, si muoveva spedito e veloce, come se vedesse, di nuovo, perfettamente tutto. Amava dire che in quel momento si realizzava un “piccolo miracolo”.

 

Il “grande clown”, come lo definì Vittorio De Sica, ottenne il vero riconoscimento della sua arte solo dopo aver recitato nel ’66 in “Uccellacci e uccellini” di Pasolini. Finì nel 1967 nella sua casa romana: la cultura italiana ne capì grandezza e modernità a morte avvenuta.

Tutto esaurito al suo funerale nella Basilica del Carmine Maggiore: Napoli piangeva quella parte di sé che stava salutando per sempre e che sarebbe rimasta, per le generazioni a seguire, un irraggiungibile esempio di comicità. Nell’orazione funebre Nino Taranto disse: «Totò, credo che questo sia stato uno dei più grandi spettacoli della tua carriera».

 

Fumatore dalle 90 sigarette quotidiane, animo puro e amico leale (basti pensare al sodalizio prima umano poi professionale con Peppino De Filippo), Totò detiene un primato curioso: ogni giorno in tv trasmettono uno dei suoi film.

 





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