Dirotta su Cuba, torna la rivoluzione

    di Vanna Morra

Sono tornati! Non hanno bisogno di presentazioni i Dirotta Su Cuba, che negli anni ’90 sono stati il fenomeno della musica italiana. Simona, Stefano e Rossano all’epoca hanno dominato le classifiche e a distanza di vent’anni le loro hit sono ancora nei palinsesti delle radio e nella memoria di tutti noi.  Sono sicura che non esista persona che non conosca “Gelosia” o “Liberi di Liberi da” o che non abbia sognato sulle note di “Solo baci” o “È andata così”.

Personalmente non faccio testo, la mia “fannitudine” per i Dirotta, e in particolare per la Bencini, andava oltre ogni ritegno. Conservo ancora delle foto in cui con foulard in testa e occhialoni da sole, in pieno Simona style, la imitavo, la imitavo e sempre la imitavo. Ecco, adesso resettiamo completamente questa visione inquietante, chiedo scusa, e facciamoci raccontare tutto.

Dirotta, finalmente, vi stavamo aspettando! Perché vi siete lasciati e com’è maturata poi la reunion?
Stefano: «Eravamo arrivati ad un punto di saturazione totale e, non essendo dei cacciatori di successo a tutti i costi, da parte nostra non c’era volontà di fare una roba che non ci appartenesse più. Poi si è aggiunto il fatto di essere stati sfruttati male dalle case discografiche. Quando è scoppiato il fenomeno Dirotta Su Cuba, queste non avevano la minima idea di come gestirci e nemmeno di come poteva girare la musica nel mondo. Quando si stava avvicinando l’onda dell’acid jazz nessuno era pronta a riceverla, ricordo che andavamo in giro a proporre i nostri demo e ci dicevano “No, ma noi non produciamo il jazz”… Non capivano niente fondamentalmente».

Simona: «Però dopo tanti anni di separazione abbiamo ripensato a quello che era successo, ci siamo guardati indietro e abbiamo pensato a quanto fossero stati importanti i Dirotta Su Cuba nella nostra vita e insomma a che peccato era averli sciolti. Alla fine ognuno di noi stava desiderando di riunirli, così nel 2009 siamo tornati e abbiamo fatto subito tanti live con il “Back to the roots Tour”, volevamo prima di tutto ritrovare l’alchimia tra noi sul palco e tornare dal nostro pubblico, l’aspetto artistico e discografico l’abbiamo rimandato ad un secondo momento. Durante i concerti abbiamo sperimentato tanto e infatti Studio sessions vol.1 è proprio figlio del live».

Studio Sessions Vol. 1 rappresenta il ritorno discografico ufficiale dei Dirotta Su Cuba. Contiene una versione rivisitata del primo disco e 6 inediti.
Simona: «Alla fine del 2015 dopo tanti concerti ed esperimenti ci siamo ritrovati con arrangiamenti molto belli che hanno avuto moltissimo successo ai live e abbiamo deciso di registrali in studio. Abbiamo aggiunto gli inediti che avevamo via via scritto più gli ultimi tre “Sei tutto quello che non ho”, “Immaginarmi senza te” e “Tutto adesso ha un senso”. Era anche giusto celebrare il nostro primo album perché quello è stato un punto di partenza delle nostre carriere e delle nostre rispettive vite, da qui son partite tante cose anche per la musica italiana. Insomma Dirotta Su Cuba è stato un album storico».

Stefano, tu sei il produttore di questo disco e hai curato anche gli arrangiamenti, come sono cambiati i Dirotta?
Stefano: «Non è stato semplicissimo perché l’idea di riproporsi dopo tanto tempo crea dubbi e paure, e poi non era semplice mettere le mani su “Gelosia” o “Solo baci”. Anche se in realtà venivamo da due anni di tour e in qualche maniera questi arrangiamenti li avevo già adattati. Poi tempo fa abbiamo fatto un’esperienza in un musical ambientato negli anni ’70, “I love Disco”, e quelle influenze ce le siamo portate negli inediti che sono stati scritti esattamente un anno prima che uscisse “Get lucky” dei Daft Punk. Quando è uscito il loro album, Simona mi ha chiamato dicendomi “Porca miseria, l’abbiamo indovinata di nuovo!” Eravamo ancora perfettamente in linea».

In Studio Sessions Vol. 1 ci sono tante collaborazioni importanti…
Simona: «Abbiamo chiamato i colleghi che ci sembravano più consoni alla nostra musica, chi veramente ha a che fare col jazz come Gegè Telesforo e Fabrizio Bosso, il soul e quindi la voce del grande Mario Biondi, fino ad arrivare al funky più italiano di Benji dei Ridillo. Musicisti di grande pregio come Malaman e Onori e i Neri Per Caso che hanno vissuto con noi i pieni anni ’90. Ne è venuto fuori un bel ricordo, abbiamo fermato un bell’attimo, ecco».

Stefano: «Devo dire che l’accoglienza che abbiamo avuto da parte dei colleghi che hanno partecipato al disco come ospiti è stata incredibile. Sono musicisti grandissimi e ci dicevano “Io son cresciuto con i dischi dei Dirotta”, “Ah, ma li conosco a memoria i Dirotta”… È stato quasi idolatrante. A distanza di venti anni ho appreso che noi avevamo fatto una rivoluzione musicale, involontaria ma l’avevamo fatta. Non l’avrei mai detto».

Di voi si è sempre parlato come band acid Jazz o funky soul. Credo invece che si possa semplicemente dire che il vostro sia il genere alla Dirotta Su Cuba.
Simona: «In questi dieci anni ci siamo resi conto che nessuno aveva più tentato nulla di simile. Sai, quando lasci un vuoto qualcuno cerca di inserirsi e devi difenderti, e invece questa formula non è stata più ripresa da nessuno. Sinceramente è stato anche questo uno stimolo a farci ritornare. Il nostro stile è molto preciso, i nostri aficionados si aspettano groove, funky ma anche belle canzoni con le melodie e gli arrangiamenti curati… Esatto, ormai in Italia è un genere alla Dirotta».

Il Vol. 1 ci fa ben sperare che non facciate più scherzi e sia il primo di una lunga serie…
Simona: «Sì! È un modo anche scaramantico per pensare presto a un Vol. 2 che sarà solo di inediti. Va bene l’autocelebrazione del primo, ma adesso siamo ripartiti e quindi giù a scrivere!».

Stefano: «Ti dico la verità, lo stiamo già scrivendo il nuovo album. Ho già una decina di bozze che sto componendo e che ho fatto sentire a Simona. Saranno tutti inediti se no diventiamo noi stessi la cover band dei Dirotta».

Dopo vent’anni da “E’ andata così” non è che i Dirotta ci faranno una sorpresa al prossimo Festival di Sanremo?
Stefano: «Il brano per Sanremo l’abbiamo realizzato, lo sto mixando proprio in questi giorni. Ovviamente è in pieno stile nostro e se non corrisponde a quello che vogliono loro non lo cambieremo, piuttosto noi non ci saremo».

Stefano, hai detto che non ricordi le vecchie canzoni dei Dirotta. Adesso che per forza hai fatto un ripasso, quali sono quelle che ti piacciono di più?
Stefano: «Mai assolutamente, non le ricordo. Non li ascolto mai i dischi dei Dirotta se non in casi come questo in cui ci stiamo lavorando. Però quelle a cui sono più affezionato sono le meno conosciute. Invece dei brani come “Gelosia” o “Liberi di liberi da” sono contento dell’operazione di cambiamento degli arrangiamenti. Mi piace molto com’è venuta la coda di “Legami” con tutta la parte strumentale e “Chiudo gli occhi” dove c’è la coda latina di Fabrizio Bosso».

Simona, tu le ricordi le tue preferite?
Simona: «Beh, sarà che cantando sempre cose molto tirate dove c’è un grande ritmo, quando canto le ballate per me è un po’ un sollievo. Riesco a tirare fuori emozioni e interpretazioni che magari su pezzi a 130 bpm è difficile. Ci sono ballate bellissime nei nostri dischi che non facciamo quasi più, come “I silenzi che parlano” o “Dormi” che sono romantiche oltre ad avere degli arrangiamenti molto melodici. In Studio Sessions Vol. 1 le versioni rivisitate di “Solo baci” con Mario Biondi e “Dove sei” sono veramente da ascoltare. Quindi diciamo che le mie preferite sono le ballad».

Ci avete raccontato dei cambiamenti dei Dirotta su Cuba, ma come siete cambiati voi personalmente?
Stefano: «Abbiamo tanta esperienza e professionalità in più. Per il resto, già il fatto di essere diventato padre e avere un figlio quindicenne cambia la visione delle cose. D’altra parte però ti direi che comunque se riesco ancora a lavorare 11 ore al giorno in studio tutti i giorni è perché in realtà non è cambiato proprio niente. Stessa voglia di fare e stesso entusiasmo di sempre, altrimenti questo mestiere non lo puoi fare».

Simona: «Ora sono una donna con una maggiore consapevolezza. Quando ho iniziato con i Dirotta avevo un sogno nel cassetto e un sogno, per diventare realtà, ha bisogno di fatti, di conferme, di un percorso. Nel momento in cui siamo stati travolti dal successo di “Gelosia” forse non eravamo così pronti, abbiamo fatto molti errori e alla lunga queste cose le paghi circondandoti anche di persone sbagliate. Quindi quando dico maggiore consapevolezza intendo di ciò che siamo e soprattutto di ciò che sono io, del mio valore, dei miei pregi e dei difetti. Da questo punto di vista ho trovato un equilibrio».

Quindi si può dire che in un certo senso la “pausa di riflessione” ha persino giovato?
Simona: «Quei dieci anni sono stati molto faticosi ma mi sono serviti proprio a mettere a fuoco quello che ero io e anche quello che non ero in grado di fare. Ho cantato cose molto diverse, sono stata più autobiografica, ho messo in gioco me stessa ed è stata una bella terapia. Io sono nata così, come cantante di una band. Come solista ci ho provato e continuo a fare delle cose di nicchia con il jazz che adoro, ora mi piace essere più defilata anche perché sono mamma e così ho raggiunto quel giusto equilibrio tra palco e vita privata».

Simona, hai duettato e collaborato con tanti artisti. Qual è il duetto dei tuoi desideri?
Simona: «Eh, purtroppo non si può più fare! Non si può più fare perché Pino Daniele non c’è più. Avrei voluto tanto duettare con lui, ci sono andata vicino e pensavo che fosse una cosa solo rimandata. Sai, ci sono quei treni che passano e per vari motivi non riesci a prendere e in quel caso così è successo. Quando lasciai i Dirotta ebbi una telefonata dal suo manager, Pino voleva produrre una donna e aveva due nomi in mente, uno di questi ero io. Avrei dovuto lavorare con la sua etichetta ma avevo già firmato il contratto discografico con la Warner per il mio disco da solista e non ho potuto. Pensa te com’ero incazzata».

Mi sono venuti i brividi.  Un duetto che puoi ancora desiderare e che smorzi questo magone?
Simona: «Facciamo quelli irraggiungibili allora. Uno un po’ defilato ma che mi piace moltissimo è Jamie Cullum e anche Jamiroquai non mi dispiacerebbe affatto».

Se ti dico “Le Matte In Trasferta”? 
Simona (ride)«Sarà stato il 1993. Io, Irene (Grandi), Emy e Rossella eravamo amiche, andavamo in giro per locali esibendoci come quartetto vocale, ci siamo divertite un sacco, avevamo tanti fan e il sogno di diventare cantanti. Un sogno pienamente realizzato, oggi lavoriamo con la musica e viviamo di musica. Poi con Irene Grandi ho duettato nel mio disco da solista “Sorgente” con il brano “Ricorderò” e Le Matte In trasferta hanno partecipato tutte insieme nel suo disco di natale con “Happy Days”».

Ragazzi, i vostri concerti sono generatori di buonumore, tante date già sold out e nuove in arrivo, dateci un po’ di appuntamenti.
Simona: «Questa è una cosa molto bella che mi devo ricordare sempre. Da Milano a Napoli, Bari, Catania chi viene ai nostri concerti mi dice che trasmetto gioia, ma non me ne rendo conto perché mi viene automatico. Si accende una miccia quando sono sul palco davanti al pubblico, sono per prima io felice di essere davanti a voi».

Stefano: «Il 18 novembre torniamo al “Bravo Caffè” di Bologna per la terza data, il 25 novembre siamo al “Modo” di Salerno e il 21 gennaio siamo al “2.0” di Pomezia, in provincia di Roma. Intanto il calendario è in continuo work in progress e presto annunceremo le date di dicembre».

Simona: «Vanna, ti aspettiamo a Salerno con occhiali e foulard!».





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