Enti inutili, un magna magna dal 1907

A che serve un Istituto sulla tutela dei gondolieri?

    di Mimmo Della Corte

A parte il Governo centrale che li foraggia, senza soluzione di continuità, sono in pochissimi  a conoscerne l’esistenza. Ancora di meno quelli che sappiano cosa siano, cosa facciano, a cosa servano e quanto realmente costino complessivamente. Di certo però si sa che, purtroppo, pesano tantissimo sui bilanci dello Stato. Sette miliardi di euro (ovvero circa 14 mila miliardi di vecchie lire) ogni anno, secondo una recente indagine effettuata dall’Unione delle Province Italiane (Upi). Addirittura dieci (quasi 20 mila miliardi di lire) a dar credito ad altre fonti. Sicché la loro permanenza in vita, più che buchi, ha generato nei nostri conti pubblici, voragini profondissime ed incolmabili.

Per rendersene conto appieno è sufficiente avere qualche reminescenza scolastica sulle tabelline imparate a memoria in quegli anni. Se è vero, com’è vero, che la prima legge che ne aveva previsto lo scioglimento risale al 1956, se ne deve dedurre che 57 anni non sono stati sufficienti ai nostri governanti per fare tabula rasa degli sprechi prodotti dalla loro inutile ed incomprensibile longevità. Sicché, se la memoria non inganna, se ne deve dedurre che una buona fetta del debito pubblico che affligge l'Italia (349 miliardi di euro stando al conteggio dell’ Upi, 570 se si dà credito a fonti diverse), dipende proprio dalla loro esistenza e dalla incapacità di sopprimerli dei Governi che, in questi ultimi 57 anni di vita repubblicana, si sono alternati alla guida del Paese. Tutti, ovviamente,  nessuno escluso.   

Come si fa a non restare perplessi di fronte a tutto ciò? E si tratta di una perplessità che aumenta, ancora di più, allorquando ci si ferma a riflettere sul fatto che, per mantenere in piedi questi carrozzoni (inutili per il Paese, ma utilissimi per dare sfogo alle clientele elettorali di politici e partiti)  il Governo Letta - così come del resto aveva fatto quello degli pseudo-tecnici guidato da Mario Monti e quelli ancora precedenti - ha continuato a rinviare con una pervicacia ed una determinazione ai limiti dell’arroganza (e certamente degna di migliore causa), l’assunzione di tutte quelle iniziative che avrebbero potuto aiutare l’Italia ad uscire dalla crisi: il blocco dell’Iva, la cancellazione dell’Imu, il taglio del cuneo fiscale e il pagamento dei debiti dello Stato verso le Imprese.

Indubbiamente, per onestà intellettuale è giusto riconoscerlo, quei 7/10 miliardi che si potrebbero ricavare dalla cancellazione degli Enti di cui sopra, non sarebbero sufficienti a bilanciare i mancati introiti delle misure necessarie a rilanciare il Paese che, purtroppo, continuerà ad avvitarsi su stesso. Ciò, nondimeno, cancellarli potrebbe rappresentare il primo passo verso la ripartenza. Una ripresa che, nelle condizioni cui questi signori hanno ridotto il Paese – è assolutamente impossibile preconizzare.

Purtroppo, Attila Angela Merkel e le sue legioni euro germaniche, insieme agli alleati euroeuforici ed ai poteri finanziari internazionali (che naturalmente controllano quelli nazionali), hanno deciso di discendere le Alpi a cavallo delle nuove tecnologie informatiche ed occupare l’Europa mediterranea. E, per farlo, hanno obbligatoriamente dovuto attraversare un passaggio: impadronirsi dell’Italia. Hanno cominciato proprio da qui: l’hanno messa a “ferro e fuoco”, lasciando solo terra bruciata dietro di loro, l’hanno saccheggiata e l’hanno stretta con le spalle al muro. Poi, approfittando della pavidità dei nostri governanti, ci hanno costretti a sacrifici insostenibili, imponendoci l’esigenza del risanamento dei conti pubblici e di rimettere in linea (con il trattato di Maastrchit) il rapporto fra debito Pubblico e Pil. Non ancora contenti, però, prendendo a pretesto la necessità del salvataggio e del rafforzamento della moneta unica, ci hanno portato via – nonostante a loro dire anche noi fossimo fra i Paesi a rischio –  oltre 100 miliardi di euro, per la salvezza delle banche greche, portoghesi, irlandesi e spagnole.

Né si può dire che le nostre prospettive comunitarie siano migliori e più rosee di quelle di questi ultimi due anni, durante i quali i “padroni dell’Europa” – seppure sottotraccia e stando bene attenti a che non si sapesse in giro – hanno messo sotto rigido controllo i nostri conti, impedendoci d’investire per il nostro futuro per non sforare il rapporto deficit/Pil, ma pretendendo (fingendo di non accorgersi che così ci costringevano invece a sforarlo) che i nostri soldi contribuissero a salvare gli altri dal default.  

Tant’è che, solo da gennaio ad oggi, ci hanno sottratto 51 miliardi per destinarli ai Paesi in crisi – che, poi, con queste stesse risorse, sono venuti a fare shopping fra le nostre imprese: vedi la vicenda Telecom, finita alla Spagna, grazie ai 9 miliardi ricevuti dall’Italia per evitare il fallimento delle sue banche. Tutto questo mentre la Corte Costituzionale tedesca ha posto un limite al contributo teutonico al salvataggio dei Paesi in difficoltà. E dire che da quest’ Europa l’unica a guadagnarci è stata proprio la Germania. Come mai la Corte italiana continua a tacere? Perché, non fa la stessa cosa anche la Consulta? Per caso, anche il controllo costituzionale sull’Europa è competenza esclusiva dei tedeschi? Nell’attesa che qualcuno risponda, ma con la certezza che nessuno lo farà, meglio andare avanti.

A questo punto, urge correre ai ripari. Come? Facile. Considerato che non l’ hanno ancora abolito, potremmo chiedere aiuto all’Istituto Nazionale della Montagna, per rifugiarci sui monti (dove i pc non sono ancora arrivati e la globalizzazione non ci potrà raggiungere) e da lì potremo organizzare la nuova resistenza informatica. Per spostarci sulle pendici montane, chiederemo all’Istituto per la Conservazione della Gondola e la Tutela dei Gondolieri di aiutarci a discendere rivoli e ruscelli, noleggiandoci imbarcazioni. Per le risorse, non c’è problema: ci potremo rivolgere all’Istituto di Beneficenza Vittorio Emanuele III, sperando, naturalmente, che dalla nascita (avvenuta nel 1907) ad oggi, sia riuscito a mettere da parte qualche spicciolo a corso legale. Per fare proseliti alla nostra causa e spiegarne, quindi, le motivazioni, potremmo appoggiarci all’Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa, auspicando che conservi ancora un po’ di quella voglia di autonomia che aveva portato l’Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell’ Autonomia Scolastica all’eutanasia per dargli la luce. Forse perché, in un Paese senza autonomia, a cosa serve un’agenzia che punti al suo sviluppo? Infine, se dovesse essere necessario, potremo sempre attaccare i server dei “totem” della finanza, ricorrendo all’apporto dell’Opera Nazionale dei Figli degli Aviatori, riconvertendoli, ovviamente, alla guida dei personal computer. Così, almeno, dopo decenni di inutilità e di spreco di fondi pubblici, potranno dire che la loro esistenza non è stata tutta e solo spreco.





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