Cuma, epicentro di miti e misteri

Casa della Sibilla, ispiratrice di Virgilio, ecco la città dei coloni di Calcide

    di Maria Regina De Luca

Nel nostro Sud, l’uso del termine Cuma è diffuso più come aggettivo che come nome proprio di una città. Qui da noi c’è molto di cumano, dalla Ferrovia, il cui itinerario è già lezione di storia, di geografia e di costume, alla Sibilla, sacerdotessa di Apollo nel cui nome le diverse Sibille mediterranee profetizzavano e conservavano la castità. Una delle più belle e delle più importanti fu, insieme alla Delfica, quella Cumana il cui oracolo, nei pressi del lago di Averno, fu pari come fama all’oracolo di Apollo a Delfi. Come si sa, la Sibilla Cumana dai molti nomi che Virgilio, nel VI canto dell’Eneide, chiama Amphrysia, scriveva i suoi responsi su foglie di palma che il vento, entrando dalle cento porte del suo antro, disperdeva, costringendo il questuante a rincorrerle per interpretarne il vaticinio reso ancor più sibillino dalla confusione delle "pagine".

Ma la nostra dispettosa Sibilla con Enea si comportò ben diversamente. Non solo lo accompagnò personalmente nell’Ade, ma gli consigliò anche di cercare il ramo d’oro nella vicina selva per offrirlo a Proserpina ed accattivarsene i favori. Sotto le acque verdi e immote del lago, il cui nome è già tutto un progamma, avviene l’incontro tra Enea, suo padre Anchise morto durante la fuga da Troia, che gli profetizza il suo compito di fondatore dell’impero. Gli presenta inoltre la sua progenie regale e il dolce e pallido Marcello che, proprio sulle cose flegree, morirà giovanissimo nel compianto generale.

Oggi i luoghi tacciono o raccontano la loro storia a lettori distratti, impreparati, sporadici, senza che depliant o guide o altro del genere li aiutino a capire che quei ruderi, quegli avanzi di edifici, quei sentieri nel verde di una vegetazione in parte tutelata dalla perenne umidità del luogo, quelle acque sulle quali non volano uccelli perché le sue esalazioni d’oltretomba li allontanano, quella piccola acropoli naturale e lo spazio sottostante solo i luoghi di un mito al quale apparteniamo noi tutti, un mito diventato storia, poesia, musica, teatro, letteratura che si è diffusa in tutto il mondo. Dalla piccola Cuma fondata dai coloni di Calcide si diffuse tra le genti italiche l’alfabeto e quella civiltà greca, fonte della cultura occidentale, che la rese vincente anche nei confronti degli invasori, come nelle sconfitte subite dai sanniti che le riconobbero il diritto di conservare la lingua e gli usi greci.

Nel I° secolo, Virgilio qui scrisse l’Eneide su incarico di Mecenate per celebrare, attraverso le gesta di Enea, il trionfo di Ottaviano Augusto, discendente della gens julia, che aveva posto fine alle guerre civili e ripristinato i valori e la grandezza di Roma. Siamo appena all’introduzione di un tema che ha riempito volumi di studi e di ricerche, e la maggior parte dei nostri giovani ne ignorano la storia e purtroppo anche l’appartenenza etnica che sarebbe motivo d’orgoglio e stimolo di crescita. Indipendentemente dell'accoglienza turistica, decisamente carente, quel che manca per restituire a questi luoghi il loro rango di fonte di cultura e di civiltà è la conoscenza e l’interesse da parte delle giovani generazioni. Tema portante della nostra storia, il suo studio dovrebbe rientrare nelle materie dei programmi ministeriali nella speranza che tempi migliori possano riportare in luce la loro centralità storica e culturale che è la radice della nostra civiltà e di tutta la civiltà occidentale.





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