LIBRI Un paese lontano

Da Europa ad America, andata e ritorno, nelle cinque lezioni di Franco Moretti

    di Giordana Moltedo

Un paese lontano (casa editrice Einaudi, anno 2019) è l’ultimo saggio pubblicato dal professore di letteratura Franco Moretti. Con questo lavoro l'autore mette al servizio di un pubblico più ampio rispetto a quello universitario cinque lezioni sulla cultura americana, estrapolate da un ciclo di lezioni biennali da lui tenute all’università di Stanford. Ma come è nata l’idea di prendere cinque tasselli della cultura americana e farli confluire in questo saggio?

Il saggio è il frutto di due mondi e di due esperienze, vissute da Moretti in due continenti geograficamente lontani: quello europeo e quello americano. Nel 1979, Moretti insegna nella nascente università di Salerno; una piccola realtà pubblica, dove i professori e gli studenti - d'inverno - sono costretti ad indossare i giacconi nelle aule per ripararsi dal freddo e da riscaldamenti insufficienti. Cosa inimmaginabile agli occhi dei professori e degli studenti della prestigiosa e ricca università di Stanford che, allora come oggi, rappresenta uno dei principali poli universitari degli Stati Uniti. Eppure un elemento accumuna queste due realtà così lontane: la carenza di preparazione degli studenti nelle materie letterarie. Per ovviare a questo l’università statunitense decide di istituire un corso di Literary History articolato in una serie di incontri, spalmati lungo l’arco di un biennio, in cui Moretti si occupa del periodo compreso tra il 1850 e il 1914.

Al centro delle sue lezioni, e quindi delle lezioni poi inserite nel saggio, vi è il rapporto dell’uomo con la modernità; canone quest’ultimo che ha segnato la cifra stilistica non solo delle letteratura, ma più in generale delle arti, e che ne ha determinato la forma dei testi e delle opere a cavallo dei due secoli. La forma è declinata, così come specificato a pagina sette, attraverso tre dimensioni interconnesse, quali l’uso del linguaggio e della retorica, il contesto storico e il tipo di piacere estetico che quella determinata forma «sembrava promettere ai contemporanei». Da qui vengono costruiti dei parallelismi tra la cultura europea e quella americana attraverso ispirazioni, richiami e verosimiglianze che, oltre a restituire la dimensione artistica e letteraria di quel periodo, restituiscono anche la dimensione politica e sociale di quegli anni, permettendo all’autore di giungere ad un altro punto nevralgico del saggio, e affrontare il tema della nascita e della costruzione dell’egemonia americana.

Egemonia che non era solo culturale, ma anche politica e sociale, e che ha fatto presa nel Vecchio Continente, anche grazie al fatto che la cultura americana ha puntato sulla fiducia verso il futuro. E proprio su questo aspetto sono illuminanti il primo e il terzo capitolo. Nel primo, attraverso un gioco di rovesciamenti, Moretti analizza le differenze tra la poetica di Charles Baudelaire e di Walt Whitman, mentre nel terzo affronta i motivi che hanno portato il genere western ad affermarsi nell’immaginario dello spettatore, rispetto al genere cinematografico tipicamente europeo, cioè il noir. Dalla lettura dei primi capitoli è come se emergesse un’appartenenza da parte degli europei a quello che è stato il “sogno americano”; ma Moretti, sapientemente, declina quel sogno anche nelle contraddizioni, come quando affronta, ad esempio, la sintassi utilizzata da Arthur Miller nell’opera Morte di un commesso viaggiatore, o quando l’autore “seziona” i personaggi raffigurati da Edward Hopper nei suoi quadri.

È forse proprio il verbo “sezionare” quello che potrebbe racchiudere la missione di questo saggio, perché leggendolo, si evince come dietro ad una scena o ad una storia «ci sia sempre un’altra storia».





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