LIBRI Napoli. Nostalgia di domani

Rilettura dell’ultimo saggio di Macry alla luce dei dati presentati dallo Svimez

    di Giordana Moltedo

Gli ultimi dati pubblicati dallo Svimez conclamano la grande fuga dei giovani dal Sud. Secondo lo Svimez se nei prossimi quaranta anni continuerà tale fuga, la sola Campania  perderà un milione e mezzo di giovani laureati. Ognivolta che escono dati di questa portata, la classe politica si avventura in roboanti dichiarazioni, annunciando piani straordinari per la crescita del Sud. Ormai questo è un copione stantio dove le dichiarazioni sono il frutto dell’emergenza, e non di un’analisi approfondita delle problematiche che riguardano il Meridione, in cui ogni territorio presenta proprie peculiarità, frutto anche dell’evoluzione storica di queste Terre. E proprio al fine di maturare tale consapevolezza, per quanto concerne la Campania e in particolare il suo capoluogo, uno strumento utile è l’ultimo saggio dello storico Paolo Macry Napoli. Nostalgia di domani, edito dalla casa editrice Il Mulino (2018). 

Macry unisce in questo saggio sia elementi autobiografici, frutto della sua esperienza di Professore alla Facoltà di Lettere della Federico II di Napoli, sia  il rigore dello storico che  mescola il passato ad un’analisi sociale e politica del presente. Tali elementi permettono di spazzare via ogni dubbio sul fatto che nel  saggio siano presenti i tipici cliché che hanno accompagnato la narrazione della città. Il saggio si rivela come una bussola di una città, che l’autore definisce come non semplice da raccontare, perché Napoli “non è immobile, ma presenta straordinarie continuità”. Queste continuità, cosi come riportato nella prefazione curata dallo stesso autore del saggio, sono come un rimando alle teorie dello storico Giuseppe Galasso, il quale affermò che la complessità di Napoli risaliva ad un passato remoto. Tale articolazione del passato Macry la snocciola in un’analisi storiografica costituita da “caratteri ambientali e demografici che si snodano per secoli e secoli, i quali a loro volta  si articolano  in periodi temporali “meno lunghi, come le stagioni delle dinastie regnanti e le forme statuali, e poi ancora scansioni ravvicinate, cioè i tempi della politica, i grappoli di anni che prendono il nome dei leader politici, e infine tagli clamorosi, cataclismi, rivoluzioni, cesure che in un baleno investono l’esistenza delle popolazioni e l’aspetto materiale della città”.

L’analisi iniziale finisce per assumere una forma dettagliata nei singoli capitoli. E già nel primo capitolo, partendo sempre dalle teorie di Giuseppe Galasso, si affrontano due questioni ancora attualissime e irrisolte che risalgono - così come evidenziato da Macry - alla dominazione spagnola del ‘600 - nello specifico - sono la questione abitativa e l’assistenzialismo. E ancora, le piaghe sociali quale la povertà che è anche il frutto di un’ iniqua distribuzione della ricchezza sul territorio, che lo scrittore Pasquale Villari imputò nel 1789 - in un’Italia che ormai si presentava come unita - all’inefficienza  e alla corruzione della borghesia locale. Le questioni irrisolte in realtà assumono la forma delle “ferite aperte” che, nelle dinamiche di un popolo, riguardano anche il rapporto conflittuale con gli intellettuali che ha visto il suo apice con la rivoluzione napoletana del 1799, con gli scrittori che Napoli l’hanno amata ma senza mai ometterne le criticità e, infine, nel rapporto con una  classe dirigente  inadeguata ma in grado, allo stesso tempo, di vendere illusioni e tradire i suoi elettori.

Allora domanda sorge spontanea: ma Napoli è solo una città di ferite? No, perché se tutte queste ferite sono il frutto secondo Macry  di un’identità debole, per via di una  città  che è nata e si è evoluta con la dominazione di popoli diversi  per genesi culturale e con rivoluzioni importate, è proprio la storia di quest’identità debole a dialogare con il presente attraverso i luoghi, i quali “custodiscono citazioni del passato e le citazioni dialogano a tu per tu con il presente”. Le citazioni e i luoghi finiscono per assumere una dimensione che Macry definisce “nostalgia del futuro”,  cioè “la nostalgia di un territorio materiale e umano che sembra voler conservarsi, non invecchiare mai e, nel medesimo tempo, sembra voler mettere a frutto le ricchezze, le proprie intelligenze, le proprie risorse psichiche in una prospettiva tuttora sconosciuta”. E forse, anche alla luce dei dati forniti dallo Svimez, la chiave di volta per guardare al futuro della città, si trova nell’esplorare quella prospettiva ancora tuttora sconosciuta.    





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