'La risata: il mezzo non il fine'

Intervista a Filippo Giardina, fondatore del Collettivo Satiriasi e promotore della Stand Up Comedy

    di Vanna Morra

È venerdì mattina. Sto per chiamare Filippo Giardina e ammetto di essere un po’ emozionata. Questo mi succede quando la fan che è in me è più gasata della professionista che in me. Chi è Filippo Giardina?  È un comico romano che fa vera satira, anzi direi “IL” comico, che ho scoperto lo scorso anno seduto al banco di Sbandati. Era tra i Panelist del programma di Rai Due condotto da Gigi e Ross, che, in un’intervista, mi hanno detto che Giardina tra gli opinionisti era il più provocatore. Beh, io l’ho scoperto l’anno scorso ma lui sono oltre vent’anni che gira l’Italia con i suoi spettacoli ed è protagonista di programmi tv non solo come comico ma anche come autore. Fondatore, nel 2009, del Collettivo Satiriasi e promotore della Stand Up Comedy in Italia, Giardina è attualmente in tour con il suo ottavo spettacolo live con le date, finora, tutte sold out. Sono le 12, lo chiamo, mi risponde con voce squillante e comincia la nostra chiacchierata…

Ciao Filippo, come stai?
Bene, molto bene, libero dalla tv!

Infatti, con orrore, ho visto che non sei tra i Panelist di questa edizione di Sbandati.
Sì, beh, perché c’è un retroscena su Sbandati. Quando mi hanno chiamato per partecipare al programma, lo scorso anno, ho accettato con gioia perché in ogni puntata ci sarebbe stato uno spazio mio con un mio monologo chiamato “Il punto di vista di Filippo Giardina”. Spazio che mi è stato cancellato, immagino per i contenuti dei testi, addirittura dopo le prime prove e prima ancora che cominciasse la trasmissione. Visto che ormai avevo preso un impegno con un contratto, ho portato a termine la stagione e quando mi hanno richiamato per questa edizione, con tranquillità, ho rifiutato. Il mio lavoro è fare monologhi, non l’opinionista.

Ah, perciò, hai scritto su FB che ti sei trovato a fare “Alba Parietti” per un anno. Insomma, prima hanno pensato di osare e poi non hanno avuto il coraggio. 
Esatto. Secondo me Sbandati è un programma con un grosso potenziale ma c’è troppa mediazione. Troppi “Non si può fare”.  Se tu, Rai, vuoi fare un prodotto, quasi totalmente improvvisato, che sia critico nei confronti della TV, devi avere un pizzico di coraggio e spingere sull’acceleratore.

Qualcosa di buono te l’avrà lasciata questa esperienza.
Mi ha insegnato a parlare in mezzo agli altri visto che il mio lavoro è salire su un palco da solo e parlare agli altri con i miei monologhi. E’ stata un’esperienza anche divertente quindi.

Libero dalla Tv, sei in tour con “Lo ha già detto Gesù – VM18”. Chi sono i bersagli del nuovo spettacolo?
Come sempre e prima di tutto io! Perché il vero nemico del comico è allo specchio e questa è una buona lezione che andrebbe trasmessa anche ai giovani ragazzi che stanno cominciando a fare questo lavoro. Dopo Satiriasi la Stand Up, seppure timidamente, sta diventando abbastanza di moda ma c’è ancora tanta confusione al riguardo e c’è gente che pensa sia un pretesto per dire parolacce o sfogare livori personali. Chi va sul palco invece dovrebbe sentire la responsabilità di fare un buon lavoro.

Facciamo un po’ di chiarezza in questa confusione: cos’è la Stand up Comedy?
Ti dico la verità… di fatto Stand Up Comedy non significa niente. E’ la traduzione di quello che consideriamo cabaret. Anche Brignano col suo microfono in mano in America sarebbe Stand Up. La differenza sta in ciò che si ha da dire. Ti spiego: la comicità è stata per vent’anni ostaggio di Zelig, quindi o il comico si metteva la parrucca e parlava di luoghi comuni o chi, come me, faceva quasi la parte del giornalista che ti doveva dire la verità. Vent’anni di censure sono pesanti. Ai monologhi satirici, quelli veri, sono stati associati termini senza senso come, ad esempio, “controinformazione” e in quanto comico facevo proprio fatica ad accettarlo. Così, come strumento di marketing, ho detto “facciamo finta che esiste un altro genere di comicità e diciamo che stiamo portando la Stand Up Comedy in Italia”. Così nel 2009 ho fondato Satiriasi.

Anche sulla satira pare che ci sia confusione…
La base della satira è la risata come mezzo per raggiungere il fine.  Quando ho fondato Satiriasi ho fatto una sorta di manifesto in cui il primo punto diceva proprio questo, “La risata è il mezzo ma non il fine”, nel senso che puoi essere anche un bravissimo comico ma devi avere qualche cazzo di cosa da dire. Mi piace pensare che la Stand Up Comedy possa riportare su un palco persone che hanno qualcosa da dire facendo ridere.

Una vera e propria missione quindi…
Cercare di portare su un palco quella che è la vera comicità, quella che ti parla della realtà. Nella satira devi per forza dare fastidio a qualcuno o anche a te stesso, altrimenti non stai dicendo niente. Nella satira bisogna saper ridere di ciò che accade. Diciamo che grazie a Satiriasi e a questa operazione di marketing, la chiamo così, il pubblico è tornato ad ascoltare il comico senza offendersi. Lo constatiamo ormai da tempo nelle nostre serate, io e tutti i comici molto bravi che facevano parte del progetto.

Satiriasi però ha chiuso i battenti. Solo in tv o per sempre?
Guarda, avrei molta voglia di levarmi qualche sassolino dalle scarpe e dire mille cose ma ti dico solo che oggi che Satiriasi non esiste più mi sento molto più leggero e libero. Tenere insieme persone con un ego spropositato e molte delle quali non hanno fatto nemmeno psicoterapia, a differenza mia, è estremamente stressante. Perché io da buon matto ho fatto psicoterapia.

Ah ecco, mi faciliti la domanda, l’ho messa in elenco dopo aver visto il monologo dello psicologo: ero in dubbio se chiedertelo o meno, ho pensato, e se si offende?
Non mi offendo, anzi! Sto facendo la mia seconda psicoterapia e penso che chi fa monologhi in cui parla di sé e specialmente chi ha problemi di ego una mano deve farsela dare. Poi se ti offendi non puoi fare il comico, perché se c’è una cosa che bisogna imparare ad accettare da subito è già l’umiliazione degli inizi. Nessuno parte che è capace, ci vuole oltre al talento un grande spirito di sacrificio.

Tu come hai iniziato? 
Avevo 25 anni, ho fatto una scuola di teatro per due anni, otto ore al giorno. Ho iniziato, quindi, a fare l’attore e a vedere che brutto mestiere fosse. Vabbè, è chiaro, se sei Anthony Hopkins sarà un lavoro bellissimo ma io lavoravo in spettacoli brutti e mi pagavano pochissimo. Per me, da buon ossessivo compulsivo, che mi sono sempre dedicato alle cose con passione, era una tortura.

E cosa hai fatto?
Non mi piaceva l’idea che per lavorare dovevo andare alle feste e conoscere registi, così ho comprato tre quadernoni e ho scritto, a penna ricordo ancora, il mio primo spettacolo “Scusate ma oggi vomito”. Avevo visto da poco “Lenny” il film sulla vita del comico statunitense Lenny Bruce interpretato da Dustin Hoffman e ho pensato effettivamente alla possibilità di fare una comicità dove uno tira fuori il dolore che ha dentro. Anche perché sono convinto che dietro ad ogni comico satirico ci sia una forma di disperazione. A me questo ha aiutato molto, ho praticamente messo la “malattia” a reddito e le persone che vengono a vedermi mi danno molta soddisfazione.

L’Italia, intendo quella al potere, prima o poi si arrenderà a questo tipo di comicità e smetterà di censurarla?
Il cambiamento è prima di tutto culturale ed è già in corso, il potere non solo sarà costretto ad accettarlo ma anche ad assecondarlo. Prendiamo la tv, per esempio, i giovani non la guardano più, si sono spostati su Netflix, Sky e il web in genere. Chi ora ostacola il cambiamento, se vorrà ancora vendere pubblicità, dovrà per forza spostarsi verso quelle direzioni. E’ solo una questione di tempo.

Parliamo di FB. In un post dici che ha trasformato il concetto di partecipazione in protagonismo…
L’essere umano non è fatto per vivere una vita pubblica e invece FB è l’agorà della vita pubblica. In meno di dieci anni ha cambiato il mondo perché nessuno ha insegnato alle persone come utilizzare questo strumento. Quindi tutti vivono la loro “realtà” su profili pubblici come se fossero comici o attori, in più sottoposti continuamente alla gogna dei giudizi o alle approvazioni degli altri. E’ una forma patologica, un distacco dalla realtà che rende tutto epico, una difficoltà diventa una tragedia, una felicità diventa un trionfo. E’ frustrante, devi dimostrare sempre di essere ciò che invece non sei. E’ una cosa che a livello sociologico è spaventosa.

Hai realizzato degli spot su FB che si chiamano #chiediaiuto. Campagna ironica proprio sulla forma patologica dell’utilizzo del mezzo… ironia che in tanti non hanno colto.
Guarda ti dico com’è andata. Dovevo partire con il tour e in qualche modo dovevo pubblicizzare il mio lavoro. Mi son detto: “Ma che cosa posso fare in questo momento che mi faccia sentire un vero imbecille su FB?” E ho pensato a questa cosa di #chiediaiuto. Nel primo spot dico di non postare foto e subito dopo ho pubblicato una foto del video… e così via con gli altri spot. Nella mia testa il gioco era palese, dico di non esprimere opinioni ed io le sto esprimendo, dico di non condividere mentre chiedo di condividere il video. L’intenzione era quella di fare satira sul mezzo non sulle persone. La cosa che più mi è dispiaciuta è che chi ha detto di aver capito mi ha comunque consigliato di mettere una battuta sul finale per far capire che si scherza. Avrebbe ucciso tutto: il gioco era proprio lì al confine. Ma per tutto quello che ti ho detto prima, difficilmente queste persone avrebbero potuto coglierne l’ironia e pensare che fosse una figata, piuttosto si sarebbero dovute guardare un po’ dentro.

Sotto a uno di questi spot ho letto un commento che diceva “Filippo, mi chiedo come mai tu non sia schifosamente famoso?” E da un po’ me lo chiedo anch’io.
Sono una persona molto schiva e anche timida e sarebbe veramente una stortura se fossi famoso. Certo ci sono le ambizioni… Ho sei o sette programmi nel cassetto e vorrei trovare un’altra forma oltre al monologo per esprimere tutte ‘ste idee che mi vengono in mente… Ecco, mi auguro un giorno di trovarla ma la fama no, non la inseguo. Vivo del mio lavoro da tanti anni e sono già felice così.





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