Florenzi il marziano

Storia della rovesciata perfetta

    di Max De Francesco

Era il 12 gennaio 2014 quando Alessandro Florenzi, faccetta da borgata e fuga negli occhi, mostrò al pubblico che l’uomo sa volare. Al minuto 26 di Roma-Genoa, mentre un pallone pioveva dal cielo in mezzo a un’area di rigore affollata come una disco, quel ragazzo del ’91 pensò che non fosse più il momento di stare con i piedi per terra e decollò in una domenica da zero a zero. Non passavano aerei in quell’istante né nuvole gonfie o aquile laziali, ma in aria c’era un calciatore giallorosso con la sua ruota di muscoli e le sue scarpette lucenti. Gli altri contemplavano la sfera in picchiata e non s’accorsero che un giocatore non era più tra loro perché era già in volo con il pensiero e soprattutto con il corpo. In un attimo non cronometrabile, spalle alla porta e in aria danzante, colpì il pallone con impeto dolce. Ne venne fuori una parabola implacabile, la sfera viaggiò brusca e tacita, incantando calciatori e spettatori: l’eroe volante cascava ancora dal cielo e il portiere del Grifone, talento spiazzante coi capelli sugli occhi come Capitan Harlock, mirò immobile la traiettoria della palla che violava la sua Arcadia. L’urlo del gol coprì gli atterraggi del pallone e di Florenzi il marziano.

Fu compiuta così la rovesciata perfetta, gesto atletico che fonde calcio e ciclismo, confonde il giocatore con il trapezista, diffonde il verbo dello sport perché è sintesi d’istinto e addestramento. Un’esecuzione acrobatica che sempre di gennaio, questa volta nel 1950, consegnò l’eternità a Carlo Parola, centromediano juventino e icona delle figurine Panini che sul campo di Firenze sparì nella nebbia al minuto 80 e ricomparve in aria, in volo rovesciato, in cerca della sfera e del colpo da leggenda.

Quanti di noi vivono o hanno vissuto sognando la rovesciata perfetta? Una perfezione che nasce dal caso, così simile a quella che ricerca l’artista quando colpisce un’idea. Su qualsiasi campo di gioco, sia su quelli d’erba buona che su quelli impraticabili come la vita, chi insegue il pallone custodisce il sogno, almeno in una partita, di provare a grattare il cielo, saltare in faccia alla razionalità, attaccarsi alla fune invisibile della poesia e pedalare nel vuoto come Pelè in “Fuga per la vittoria” o come Florenzi, maglia numero 24, in una domenica di bardi volanti e in un’area di rigore che sembrava una disco.

 





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