Quel 'Tropico' orgoglio del Sud
Storia del libro di un amico. Poesia, sogni e rabbia nel viaggio letterario di Max De Francesco
di Amedeo Forastiere
Quasi sempre leggiamo libri scritti da persone che non conosciamo. Qualche buon editore a volte pubblica in copertina la foto dello scrittore così possiamo vedere che aspetto ha e iniziamo a farci un’idea. Di solito cosa leggiamo? Romanzi che ci tengono inchiodati nell’attesa del finale a sorpresa: a volte restiamo delusi, spesso immaginiamo altri epiloghi. Quando leggiamo un libro scritto da un amico proviamo più interesse. Almeno così è per me. Sarà forse perché lo conosciamo e siamo sicuri di sapere tutto di lui? Potrebbe essere. Leggendo un libro scritto da un amico scopriamo sempre qualcosa in più sulla sua vita pubblica e privata. Da poco ho finito di leggere “Tropico della spigola” (Iuppiter Edizioni) del mio amico Max De Francesco. Amico editore, amico scrittore, amico produttore, amico poeta. Non è un romanzo dal finale scontato o una storia da “vissero tutti felici e contenti". Nemmeno un giallo, dove l’assassino è l’insospettabile tutto casa e chiesa. Niente di tutto questo. Il “Tropico” è una raccolta di elzeviri, racconti, apologhi e storie di eroi noti e ignoti di quella Napoli spesso ammopociata (stropicciata) e di quel Sud spesso dimenticato.
Ho sempre sostenuto che uno scrittore è un artista. La sua arte è fatta di fantasia e mistero. Di storie inventate o verosimili con personaggi che, seppur creati dal nulla, sembrano essere più vivi dei vivi. Bisogna avere molta fantasia, non solo per scrivere romanzi, ma anche per produrre la letteratura “breve”, ovvero quella che propone storie che si esauriscono in una manciata di pagine. Scopro, leggendo il libro, un Max che non conoscevo. Spesso noi anziani siamo prevenuti verso i giovani, dimenticando quello che eravamo noi alla loro età. Giudizi molte volte affrettati, in un unico denominatore: sono tutti uguali questi giovani, senza fantasia. Invece poi scopriamo che questi giovani di fantasia ne hanno tanta. Sono quarantatré le storie di “Tropico della spigola”: non si può fare una classifica, ognuna ha una sua specifica identità, una propria anima. Il libro è suddiviso in tre sezioni - "Napoli artificiale", "Sud River", "Tipi e intercalari" - e si conclude con un racconto distopico e sorprendente dal titolo “Occhio di carta”.
“Viaggio a Blatt City” è Il primo racconto-intervista che inaugura il libro e narra la sommossa delle blatte napoletane che rivendicano il diritto di vivere all’aperto, organizzando una pubblica assemblea in zona Porto. Occorre tanta fantasia. Ancora più fantasia serve per immaginare la lettera che il presidente dell’Associazione dei proiettili vaganti, Vladimir Calibro 9, scrive al direttore di un quotidiano, raccontando, dopo essere stato suo malgrado protagonista di una furiosa sparatoria nei vicoli della Sanità, la consolante consapevolezza di non essersi conficcato in nessuna vita. Nel libro vengono rievocate e “ritrattate” tante figure caratteristiche di Napoli e tengo a citare il racconto Vorrei essere una Piedigrotta, in cui l’autore rimette in circolo i miei ricordi e i miei sentimenti per la “festa delle feste” come diceva Marotta.
Tante le suggestioni e le visioni nella sezione “Sud River” con una Napoli balneare e un Cilento da riscoprire che, a inizio settembre, con le prime piogge, “chiude l’estate nel cassetto”. Belli i ritratti dedicati a grandi napoletani come Giancarlo Siani, Massimo Troisi (e la sua “ciclosofia”) e Bud Spencer, il ragazzotto di Santa Lucia col pugno a martello. E tanta malinconia e amore del territorio ho ritrovato nelle storie sul Sud dei piccoli borghi che è in via di estinzione; rabbia e ironia, invece, nel corsivo sull’esclusione nel 2019 del Mezzogiorno dal Giro d’Italia, proprio nell’anno in cui Matera era capitale della cultura. Ed è ancora l’ironia a cavalcare il linguaggio pirotecnico dell’autore nella sezione “Tipi e intercalari” dove segnalo i racconti “Congedo di uno scrittore di coccodrilli”, “Fondamentalmente”, con la cronaca dell’apertura della campagna elettorale di un avvocato titubante con gli invitati che non vedono l’ora di tuffarsi nel buffet, e “Mo ci vuole”, lezione semiseria su come eliminare le inutili parole in un discorso pubblico e sull’importanza di moderare la velocità nel parlare.
C’è tanta roba nel "Tropico della spigola", ci sono personaggi inafferrabili, ci sono antieroi di scritture libere e volutamente immature, ci sono eroi precari e fantasisti dell’arrangiarsi. Ma ciò che più mi piace del libro del mio amico Max è il recupero dell’orgoglio meridionalista e la valorizzazione di Napoli e del Sud. E poi mi piace quella voglia di credere ancora nel profumo dei sogni.