Un genio a Manaus

L'Italia doma gli inglesi con il suo maestro

    di Max De Francesco

C’è un genio sulla palla a Manaus. Solo due minuti tra il trionfo e i Prandelli d’Italia, tramortiti dal caldo amazzonico ma non dai leoni inglesi che, tra crampi e sortite individuali, consumano gli ultimi ruggiti. Scarsi due minuti e l’esordio vincente ai Mondiali brasiliani è compiuto. C’è ancora una punizione da eseguire, c’è Andrea Pirlo sul brazuca, il pallone ufficiale della competizione, portento di aerodinamica, testato da 600 calciatori tra cui Messi, promosso persino dalla Nasa che lo ha fatto volare in camere del vento stabilendo che la sfera possiede una traiettoria stabile. Non per l’extraterrestre con la maglia numero 21. Non per il Leonardo del pallone. Potrebbe non tirare Pirlo, manca un niente, meglio scegliere il passaggio furbo a un compagno e melinare fino al fischio finale. Ma come fai, c’è il globo fermo ad aspettare una pennellata, c’è la possibilità di un altro masterpiece come quello di un anno fa alla Conferderation Cup quando, contro il Messico, il piede magico dell’italiano incantò il tempio del Maracanã. La saggezza continua a suggerire un retropassaggio perditempo, ma “o maestro”, come lo hanno battezzato i brasiliani, sta sulla palla.

Il protocollo dell’esecuzione lo conosciamo: occhiata indecifrabile al portiere Hart, già umiliato agli Europei 2012 con un rigore a cucchiaio che fermò la sua danza sulla linea e i nostri cuori imballati, sguardo fisso sul muro dei giocatori in cerca dell’oltre, rincorsa breve come un aforisma, schiaffo placido di mezzocollo destro come faceva Juninho Pernambucano, pallone in ascensore, viaggio in silenzio, traiettoria precaria come la vita, portiere ubriaco che brancola sulla destra mentre la sfera vira a sinistra prima di precipitare come un astro bisbetico. Stavolta la palla sposa la traversa ma l’Arena da Amazônia urla come se fosse un gol. Hodgson in panchina non è solo una maschera di sudore e di inutili speranze ma, dopo l’esecuzione del “Pirla”, come lo chiamava quando allenava l’Inter, mostra al mondo uno sguardo annacquato d’ammirazione per il professore bresciano, temuto, adorato e letto dagli inglesi più che dagli italiani se è vero che quando uscì la sua autobiografia “I think therefore I play” scalò le classifiche dei libri anglossassoni vendendo oltre 35000 copie in meno di una settimana. Nel 2009 era destinato al Chelsea per raggiungere papà Ancelotti che al Milan lo trasformò in regista arretrato esaltandone ancora di più estro e intuizioni. Non se ne fece niente perché Berlusconi disse no, per poi dire sì, anni dopo, al corteggiamento juventino, consegnando gratis agli Agnelli il genio e tre scudetti.

La cronaca della partita dice che l’Italia vince con merito contro un’Inghilterra sorprendente, data per defunta ma ostica e orgogliosa, senza coralità né cervello al centro, eppure armata d’ali implacabili e ripartenze all’italiana che potranno complicare i sogni alla banda Cavani. Gli azzurri soffrono di brutto in difesa, giostrano una meraviglia a centrocampo, ritrovano un Balotelli paziente e decisivo, confermano una nidiata di ruspanti campioncini come Darmian e Verratti, possono contare sulla maturità di De Rossi, sulla concretezza di Sirigu, sulla freschezza dei maratoneti tiratori Marchisio e Candreva, possono giocare e immaginare secondi tempi nuovi, cambiando pelle e visione con Immobile, Insigne, Cassano e Cerci, alternative di corsa e fantasia. Niente ha senso però senza Pirlo. Senza il direttore, senza lo spartito della bellezza instabile. Prima d’ogni ragionamento e d’ogni modulo c’è “o maestro”. Non solo per noi, ma soprattutto per gli altri che studiano i suoi movimenti per innalzare gabbie e catturarne il pensiero. Nel suo ultimo mondiale sogna un altro gol al Maracanã. Il consolidato scetticismo italiota prevedeva la maglia numero 21 con gambe molli per l’umidità e l’età, invece il corpo e i piedi vanno ancora e fanno girare gli avversari come uno strummolo in mezzo al campo. C’era un genio a Manaus con la chioma eroica e una barba da santone. C’è stata un’altra notte italiana piovosa e afosa, trepidante di luce sotto un cielo buio e imprevedibile. C’è un sognatore in ognuno di noi che, prima di fuggire o di ricominciare, desidera almeno per una volta essere una punizione di Pirlo: superare così ogni barriera, infilarsi nella vita, affidarsi a una traiettoria senza padroni e disegnare un arco tra l'attesa e la festa.





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