LIBRI Cinema all'aperto

Sentimento del tempo e memorie infantili nell'ultima romanzo di Sergio Califano

    di Maria Regina De Luca

Nel suo recentissimo libro, Cinema all’aperto (Iuppiter edizioni, 2015), Sergio Califano sembra porre nell’epigrafe una delle possibili chiavi di lettura. Se per Pirandello è l’amore che "ride del tempo", nel percorso lungo il quale l’autore ci conduce per mano è la vita stessa che elude le coordinate del tempo percorrendone le circonvoluzioni a ritroso negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, mentre i confini del suo piccolo mondo si dilatano dalle pareti della casa ospitale e dalla chiesetta di San Michele fino al mare.

Il paese delle sensazioni infantili si conserva saldo della memoria, si rifugia in un angolo del cuore e ride del trascorrere del tempo. Le sue case, i suoi sentieri, la piccola piazza e, dalla finestra, arioso quanto il mare, lo schermo del cinema all’aperto, meta rituale delle serate estive, sono lo sfondo permanente delle sensazioni tra le quali quella del cigolio delle sedie di legno del cinema è il tramite perché l’incontro magico tra schermo e platea diventi  emozione, memoria, voglia di ritorno, vittoria sul tempo e sulle vicende della vita. La sensazione, accucciata nel caldo della memoria infantile e cera vergine dell’emozione, diventa "sentimento del tempo" insieme al sapore del formaggio paterno, dei capelli rossi del gigantesco Angelo-arcangelo-pescatore di abissi, delle salde amicizie, del primo amore.

Stratificazione profonda di ogni successiva sovrastruttura il borgo è lì, nel sostrato profondo della memoria dove la verità non coincide con la realtà, ma la supera e la stravolge secondo il bisogno di chi la evoca.  Se il cinema all’aperto è spazio e linea d’orizzonte che si sposta all’infinito come quella del mare, l’intesa con i personaggi e i luoghi del mondo infantile è per l’uomo adulto punto di partenza e di ritorno, coordinata spaziale che non cerca ancoraggi nel tempo. E’ tra quelle case antiche, tra vigneti e mare, nella piccola chiesa, nella casa ospitale e nel cinema all’aperto che le promesse non mantenute potranno realizzarsi, rifiorendo sulle rovine di una vita quasi non vissuta, come lo è un film visto da una finestra senza scricchiolii di sedie e respiri sui quali sintonizzare i propri nel buio complice della sala.

Anche Laura è un film visto dalla finestra, nonostante la sua estraneità logistica e culturale al paese dell’infanzia. Chi per un attimo ha forse dilatato gli spazi è la donna della porta accanto, Caterina, la vicina di lavoro che incastra l’uomo in un groviglio d’ innocenza e inganno che potrà sciogliersi solo nella violenza di un evento dal quale uscirà l’uomo nuovo.. Nella ragazza in fiore e nella donna navigata i rapporti spazio-tempo s’invertono, rendendo la prima uno schermo spalancato nel buio coi suoi affascinanti segreti e la seconda un’ombra sullo schermo vista dal sicuro delle pareti di una stanza.

Nel gioco delle parti, bruscamente interrotto da un tragico imprevisto, il sogno reiterante del ragazzo  in partenza con la madre verso il paese e verso il mare diventa finalmente per l’uomo, finalmente consapevole della sua vita non vissuta, il viaggio a ritroso nel tempo. Ecco, sul grande schermo delle scelte, la via da percorrere perché i sentieri spezzati, gli anni perduti, i destini malamente incrociati trovino il loro sbocco e il loro respiro. Nel ritorno, sono i fantasmi a fargli strada e i sogni da battistrada, ma la meta è finalmente la vita col suo presente e col suo futuro e con il primo, quasi dimenticato amore. Non è un censimento nostalgico né un museo d’ombre quello che l’autore ci propone con un linguaggio attento e consapevole che sembra, talvolta, mettere ali alla narrazione. E a tal proposito,  particolarmente allusiva può apparire la scelta dei nomi di uomini e fantasmi del paese, l’unico luogo nel quale l’autore ripone e ritrova la sua verità.

Le sorelle benefattrici, amiche d’infanzia della madre, si chiamano Pietra e Angelina, l’una àncora di salvezza, l’altra spirito benefico di Rosa che nei sogni del figlio sboccia ogni volta più bella e giovane nella sua freschezza di fiore. Il cognome è Colombo, (l’allegoria non ha bisogno di spiegazioni); il fabbricante di formaggio, padre non immemore, ha il nome del fiore più profumato di ogni serra, Giacinto. Il notaio che sancisce all’uomo la riacquistata dignità e la possibilità di riprovare gli innocenti baci dell’adolescenza dove si annida finalmente la vita nella sua realtà e nella sua verità si chiama Palumbo e il pescatore dai capelli fiammanti ha il nome di chi fa per mestiere da tramite tra terra e cielo, recando i reciproci messaggi. Lo schermo luminoso del cinema all’aperto riproporrà forse i personaggi che hanno popolato la fantasia del bambino.

Diventerà forse un cinema d’essai, ma con le sedie di legno, rigorosamente cigolanti.





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