Il coccodrillo del Maschio Angioino

Viaggio tra le leggende partenopee. Gli scritti di Dumas e Croce

    di Flora Fiume

Napoli è una città piena di castelli. Quelli che fanno parte di tantissime foto e panorami sono principalmente Castel dell’Ovo, Castel S.Elmo e il Maschio Angioino. Quest’ultimo in particolare domina il porto e l’arrivo delle navi da crociera. Ogni castello ha la sua storia e le sue leggende. E ovviamente non può certo mancare un mito unico e originale per il Maschio Angioino, con i suoi torrioni smerlati, il suo portone e il suo affascinante ponte levatoio: qui ha preso vita la storia di un famelico coccodrillo. Non uno qualsiasi ma uno di cui hanno parlato illustri autori. Alexandre Dumas in particolare ne scrive nel suo “Storie dei Borbone di Napoli”. “Da questa bocca dell’abisso, dice la lugubre leggenza, uscendo dal vasto mare, appariva un tempo, l’immondo rettile, che ha dato il suo nome a quella fossa”. Ma Dumas non è l’unico. Anche nelle Storie e leggende napoletane di Benedetto Croce ne troviamo traccia. Questi lo descrive come un terribile coccodrillo del Nilo trasportato direttamente dall’Egitto intorno al 1415 secondo volontà della Regina Giovanna II. Dal momento del suo arrivo nella fossa sotto il livello del mare, dove veniva ospitate le segrete del Castello, molti prigionieri tenuti lì per scontare le loro pene, scomparivano nel nulla. “Fuggivano? Come mai? Disposta una più stretta vigilanza allorché vi fu cacciato dentro un nuovo ospite, un giorno si vide, inatteso e terrifico spettacolo, da un buco celato della fossa introdursi un mostro, un coccodrillo, che con le fauci afferrava per le gambe il prigioniero, e se lo trascinava in mare per trangugiarlo”. Come succede poi in ogni storia leggendaria che si racconti, le versioni con il passare del tempo si accavallano, si confondono e si arricchiscono di nuovi particolari. Cosa che ammette lo stesso Croce quando propone una nuova versione. Probabilmente il temibile coccodrillo fu utilizzato da Ferrante d’Aragona come arma per far scomparire definitivamente un gruppo di baroni che provarono a cospirare contro di lui, finendo tra le fauci del rettile. Conclusa la sua funzione di strumento di morte e vendetta, il coccodrillo fu poi avvelenato dal Re di Napoli, con una coscia di cavallo avvelenata. Successivamente fu imbalsamato e conservato simbolicamente sulla porta d’ingresso del Maschio Angioino.





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