Se tutti cantassimo serenate

Abbandonare il telefono, scoprire l'anima, arrangiare corteggiamenti sotto i balconi

    di Amedeo Forastiere

La serenata nacque nel Medioevo. La musica non seguiva una particolare forma metrica, era cantata da una persona che accompagnava se tessa con uno strumento portatile, ad esempio la chitarra o il liuto. Questo tipo di musica, dalle origini popolari, incuriosì i grandi compositori che ne realizzarono addirittura alcune, come la Serenata notturna K239 di Wolfagang Amadeus Mozart per il Don Giovanni.

Generalmente erano lavori in larga scala rappresentati su un piccolo palcoscenico; si trattava quindi di una via di mezzo tra una cantata e un’opera. Intorno al Settecento, le serenate furono portate all’aperto, ritornando all’origine, e dedicate di solito alla donna amata.

Tra la fine dell’Ottocento e l'inizio del Novecento la serenata diventò un genere molto popolare, in particolar modo nella nostra città, Napoli. Gli autori che scrissero le serenate furono tanti. Alcune di queste diventarono famose in tutto il mondo. Elencarle tutte non è impresa facile…alzo bandiera bianca.

Poi con l’avvento della nuova musica, la serenata, non molto amata dalla generazione del dopoguerra fu messa da parte. Qualcuna classica fu ripresa con nuovi arrangiamenti. Peppino di Capri, sorprendendo tutti i fan di St. Tropez Twist e Don’t Play That Song, nel 1959, con un ritocco all’arrangiamento originale, realizzò una versione, diciamo moderna di Voce e notte di Edoardo Nicolardi, scritta nel 1903 e pubblicata l’anno dopo. Testo autobiografico, nel quale Nicolardi racconta la sua storia d’amore tormentata con Anna Rossi, splendida fanciulla diciottenne, la quale per volere dei genitori (come a quei tempi si usava) andò in sposa a un facoltoso commerciante di cavalli, ultra settantenne.

Voce e notte nella versione targata di Capri ebbe un grande successo, superando le attese dei discografici e restando in classifica nelle hit-parade per molto tempo come disco più venduto. Poi apprezzata anche all’estero grazie a Renzo Arbore. Credevo, fino a qualche giorno fa, che la serenata, intesa come dedica all’amata, cantata sotto il balcone o la finestra, fosse andata in pensione.

La prendo un po’ alla lontana, spero che non mene vogliate. Ogni generazione è sempre contestata dagli anziani. Lo è stata quella dei nostri padri, quella mia e quella d’oggi. La cosa che si contesta sempre alle nuove generazioni è la mancanza di valori, tradizioni, l'essere superficiali in tutto, anche verso i sentimenti. Poi spesso accade che ci sorprendano. Forse il vero motivo del contestare i giovani è solo sottile invidia. A loro sono dati strumenti nuovi, al passo con i tempi, cose che noi non immaginavamo nemmeno potessero esistere e messe a disposizione di chiunque senza troppi sforzi economici.

Confesso che anch’io a volte provo una sottile invidia verso la nuova generazione, in particolare per i mezzi che hanno a disposizione. Il progresso corre velocissimo, a volte anche un po’ cinico, schiaccia tutto quello che trova sulla sua strada come un bulldozer, ha fretta. Quell’attesa che faceva sognare non c’è più. Tutto e subito.

Le storie d’amore finiscono con un messaggio, niente più lettere scritte con mano tremante, quei fogli su cui non riuscivamo a trovare le parole giuste per dire: addio, è finita. Oggi non si usano più, si perde troppo tempo. I ragazzi hanno il loro linguaggio breve, tipo: Buona notte cucciolotto - bnc. Ci sei - c6. Ci vediamo dopo - cvd. Fai di me ciò che vuoi, diventa - fdmccv.

Alcune sembrano sigle di banche, altri nomi di apparecchi elettronici. In tutto questo mondo rivoltato, non c’è più spazio per il romanticismo? Per fortuna no, seguitemi.

Cenavo guardando il Tg,quando a un tratto sento dei giovani cantare. Confesso che là per là ho pensato al solito maleducato che alza il volume del televisore o a qualche poveraccio con problemi di udito. Niente di tutto questo. Era un gruppo di ragazzi con chitarra, amplificatore e microfono, intento a fare una serenata, proprio così, una serenata, intonando un vecchio successo di Rino Gaetano. 

Gianna, Gianna sosteneva tesi e illusioni. Ma dove vai? Vieni qua, ma che fai?

Gianna, Gianna, la festa è finita, domani ti sposi, evviva l’amore.

Mi affaccio al balcone che dà sul viale. Vedo i ragazzi. Non li ho contati, sono rimasto affascinato dalla loro spontanea esibizione. Alla loro età conoscevo la serenata ma non l’ho mai praticata, roba da vecchi, matusa di un passato che non mi apparteneva. Nel sentire quei ragazzi dedicare la serenata all’amica che il giorno dopo si sarebbe sposava, vi confesso che mi sono intenerito e commosso.

Una manciata di bravi ragazzi che scoprono i sentimenti antichi, lasciando per un attimo WhatsApp, YouTube, FB, Google, e-mail, e tante altre diavolerie, per abbracciare la chitarra e arrangiare una serenata... Mi è apparsa come una speranza per il loro futuro: questa generazione non è tutta da buttare.

Credo che il mondo sarebbe migliore di quello che è, se si facessero più serenate. Se tutti i giovani riscoprissero quei luoghi dell'anima dove primeggiano i sentimenti, senza vergognarsi, non come facevamo noi, snobbando certi usi per la paura di essere giudicati fuori moda, all’antica. Se andassero tutti sotto casa dell'amata con una chitarra e un po' di voce a dedicarle una canzone.

Magari, perché no, improvvisata in quel momento, con qualche giro di do, su parole inventate. Credo che anche la ragazza più tecnologica, coperta di piercing e tatuaggi, si scioglierebbe come ghiaccio al sole, sentendo, solo per lei, qualcosa come: Affacciati alla finestra bella mia, t’invento una canzone, una poesia. Metti il vestito più bello e andiamo via, tu e io, i nostri cuori, che compagnia.

Alla prossima ragazzi.





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