Renato Natale, la mano sulla spalla
Il sindaco di Casal di Principe: dall'infanzia tra i raccolti all'impegno anticamorra
di Roberto Rosano
Mi par tanto un personaggio della commedia di mezzo, Renato Natale, a metà tra Bombolo e Jack Hawkins: struttura minuta, bocca a salvadanaio, guance rotonde, faccia dispettosa. Gli abiti non gli cadono granché bene, come ad un bimbo che abbia addosso la giacca del babbo. Mi sta aspettando sullo spiazzo del municipio e, nel frattempo, si è fermato a chiacchierare con un paesano. Che faccio, lo interrompo? Pare brutto. L’aspetto qualche minuto e, nel frattempo, ne studio la fisionomica come fosse un guppy in un acquario. Ha le mani piccole, la risata gracchiante, il fare spicciativo, più affettuoso che scortese, tipico di certi medici condotti del sud, abituati a sfottere, con pragmatici motteggi, gli abbattimenti, le ipocondrie e le testardaggini dei pazienti: eh, va buo’, non tieni niente. Ma viri addò te ne a i’, ja! Nun te fissa’ ca nun tieni niente! Mi decido ad avvicinarmi. Faccio per schiarirmi la voce, quando il sindaco mi precede, senza farmi proferire parola: eh, un attimo, un attimo! Il suo paesano di rincalzo: solo un attimo, un attimo!
Va be’, mi apparto all’angolo della strada e continuo ad osservarlo, più da vicino questa volta. Mi pare di dover cambiare impressione: per quanto simpatico sia in certi caratteri esteriori, il suo sguardo no, non ha nulla di simpatico. Ha lo sguardo d’un dogo arrabbiato, gli occhi vispi, che non guardano mai l’interlocutore, e, se lo fanno, si piantano con decisione nei suoi solo per qualche secondo, per poi togliere subito il disturbo. Il suo discorso è veloce, maledettamente veloce e, mi pare, che anche il suo cervello sia veloce, maledettamente veloce, troppo veloce per me. In un attimo, saluta il paesano, mi prende per un braccio e mi porta su. E loro che fanno non salgono?, chiede rivolto alle due persone che mi accompagnano. No, no, noi aspettiamo qui, andate pure, risponde uno di loro. Ma che r’è n’intervista segreta? Jam, prego, prego... Imbocchiamo le scale, saliamo al piano di sopra, ci infiliamo nel suo ufficio. Grosso tavolo di legno massiccio. Uno di qua, uno di là.
Dunque! (Colpo di tosse).
Dottor Natale, Lei di chi è figlio?
Nel senso… Vuole sapere…dei miei genitori? (Inforca gli occhiali che stava pulendo).
Chiaro…
Eh, beh, mio padre era un medico. Faceva l’ufficiale sanitario, una figura che esisteva prima della riforma 833. Era stato anche ufficiale medico durante la guerra. Mia madre, invece, si chiamava Clelia Coppola. Apparteneva ad una famiglia con un po’ di nobiltà nel sangue. Da lei ho preso la mia ironia, tento sempre di vedere il ridicolo nelle azioni che svolgo… Non so se ci riesco…
Si sente figlio di questa terra?
(Picchia le dita sulla scrivania) E certo! Profondamente. Casaleses sum et nihil casalensis a me alienum puto… (Sono casalese e niente dei casalesi può essermi estraneo).
Niente di niente?
Eh, be’, ovviamente… A parte a’ camorra…
È possibile essere sindaco di Casal di Principe senza avere nulla in comune con la camorra?
Forse, qualcosa sì, qualcosa nel temperamento. Del resto, lo diceva Falcone: le mafie si combattono usando il loro linguaggio, certo su un versante etico positivo…
Uhm, à la guerre comme à la guerre…
Eh be’, certamente!
Le piacciono gli avverbi di affermazione, sindaco?
(Si aggiusta gli occhiali) Come scusi?
Io le faccio una domanda e lei: eh, be’, ovviamente! Eh, be’, certamente!
Com’è? Non le piacciono?
Francamente li trovo un po’ scortesi.
E vabbuo’, eh. Che altro vuole sapere?
Quando era un bambino…
Sono nato nell’anno santo. L’anno del baby boom... Ho vissuto con i ritmi contadini degli ultimi duecento anni: il camino d’inverno, il nonno che era una specie di capo tribù, i racconti della zia bizzoca (zitella), i giochi nei grandi cortili… Andavamo a vedere i film de’ sceriff’ (western). Poi c’erano le raccolte stagionali, il grano, u’ chennol’…
U’…
U’ chennol’, la canapa! (Picchia di nuovo le dita sul tavolo) Ricordo questi braccianti a petto nudo, sudati, pieni di polvere, che liberavano le canne dalla parte legnosa e lasciavano dentro soltanto la fibra. C’era un arnese, una specie di tronco scavato con un manico legato con una cinghia di cuoio. Si metteva il fascio e poi si batteva… Dung, dung! La parte legnosa, i cannavuocciol’ cadevano a terra e noi poi li usavamo per accendere il forno… Rimaneva solo la fune che serviva all’industria navale di Castellammare di Stabia.
Lei fa un bozzetto idillico di un mondo contadino molto semplice, quasi ingenuo… Ma in questa schiettezza rusticana c’era già traccia dei fenomeni sociali per cui oggi Casal Di Principe…
Ricordo un mondo contadino con atteggiamenti un po’ arcaici. Si cercava di non farsi passare a mosca p’o naso. Ci insegnavano, da bambini, a non porta e’ schiaffi a casa… A non farti mettere i mani n’coppa a spalla…
A non farsi mettere le mani sulla spalla?
Esatto. È un gesto di potere nei confronti dell’altro, la mano sulla spalla. Non devi accettare che qualcuno ti manchi di rispetto o cerchi di esercitare un potere, una prevaricazione su di te… Ecco questo ci insegnavano.
Questa morale arcaica si traduceva, sul piano sociale, in fatti di sangue finalizzati ad una, come dire…riparazione d’onore?
Certamente. Oh, p’a miseria, n’ata vota l’avverbio r’affermazione!
Ah ah ah...
Delitti per difendere la proprietà… Di questo parliamo… Perché magari qualcuno s’era preso o’ sulc e’ terra (pezzo di terra di altrui competenza). C’erano azioni di questo tipo, ma parliamo sempre di un uso della violenza che serviva a dirimere le controversie all’interno di un mondo contadino, antico, in cui non si aveva molta fiducia negli apparati dello Stato. Nel risolvere i problemi non si arrivava, però, subito all’uso della violenza. C’era tutta una serie di passaggi… Quando ti confrontavi con uno stabilivi quale fosse il limite oltre il quale…
Insomma, c’era un codice di rispettabilità con regole implicite di comportamento, sottintesi limiti oltre i quali chi si sentiva offeso chiedeva “soddisfazione”…
Con conseguente regolamento dei conti, esattamente.
Questa morale fortemente fondata sul “senso dell’onore” è apparentabile al fenomeno camorristico?
No, no.
No?
Fenomeni come questi esistono in tutte le realtà contadine, ripeto, un po’ primitive. C’è questo forte senso del rispetto del sé, degli spazi. Il vicino di casa era un soggetto sacro. Se tu lo rispettavi era perché lui rispettava te. Quindi, i rapporti erano ben orientati. A questa mentalità si sono poi aggiunti altri fenomeni, che poi insieme ti determinano la camorra, ma non la definirei una causa. Vi sono altre questioni più storicamente definite… Ma non vorrei dilungarmi…
No no, prego prego...
La camorra arriva a Napoli intorno al Seicento. È molto più antica di Cosa Nostra. In Sicilia per definire il chiasso si dice camurria! Dunque, è molto più antica ed è una tipica organizzazione criminale urbana. Nasce in una metropoli, niente a che vedere con la cultura contadina.
Sì, ma Cosa Nostra è una mafia rurale…
Infatti, in Sicilia sì, la mafia è legata al fenomeno latifondistico, addirittura alla nobiltà, in Campania no, la camorra ha origini più plebee ed è urbana. Nasce nel Seicento come strumento da parte dei Viceré spagnoli per controllare la plebe. Davano a questi piccoli criminali di quartiere la possibilità di fare piccoli affari, esigendo da loro un certo, come dire, controllo sulla società. Masaniello è un pescatore, si ribella al sovrano. Le organizzazioni criminali nascono con la complicità del potere per evitare che vi fossero altri Masaniello.
In cosa consiste questo patto tra la camorra ed il potere? In che modo gli apparati statali hanno coinvolto i criminali?
Facevano partecipare i criminali ai loro circuiti economici, consegnavano loro il monopolio della paura, li assoldavano. È sempre stato così. Le mafie sono funzionali al potere… La mafia russa è funzionale al potere. La mafia giapponese è funzionale al potere… La criminalità diventa mafia quando entra in relazione col potere, altrimenti no. Si parla di bande, di cartelli, non di mafie… Mi dilungo un attimo sul discorso se non le spiace.
Si figuri…
Un turista del Grand Tour, in un suo diario, racconta che quando la nave sulla quale viaggia arriva al porto di Napoli, nota qualcosa di strano. Prima di entrare nel porto c’è a bordo un tizio che riceve dei soldi per garantire l’accesso. Al momento dell’attracco, vede il barcaiolo dare dei soldi ad un altro tizio. Poi c’è un altro tizio che lo accompagna in albergo e riscuote soldi dall’albergo e si domanda: ma che è? E’ a tass’! Insomma, criminalità- potere, a braccetto.
Anche il buon Garibaldi ha preso accordi con un camorrista, Liborio Romano…
E certo! Per avere garanzia di compiere la sua missione senza essere disturbato. I briganti, invece, erano dei partigiani, che resistevano contro l’occupazione torinese. Dove c’erano i briganti, non c’erano i camorristi, perché i camorristi non permettevano forme di ribellione al potere con cui stringevano accordi. Infatti, da queste parti non vi fu ombra del brigantaggio!
Intanto, i capibastone della camorra, i boss, hanno organizzato sempre meglio la loro gerarchia…
Il loro punto d’incontro è il cimitero di Fontanelle, dove ci sono le famose capuzzelle (teschi)... Si riuniscono lì e scelgono chi debba governare la città. Ora, dov’è l’interesse economico di queste organizzazioni? A parte le attività prettamente criminali, i camorristi si rendono conto che il modo migliore per tenere sotto scacco la città è controllare il rifornimento alimentare, il grano che serviva a sfamare la popolazione. E da dove arriva questo grano? Dalla pianura. E dov’era la pianura fertile? Qua! Ecco che l’interesse della camorra si concentra su questi territori. Perciò, la camorra urbana napoletana dovrà stringere accordi e far sviluppare qualche criminale locale di queste zone… Ecco che la camorra arriva in campagna.
Lei vuol dire che non è l’ingenuo e arcaico mondo rurale di Casal di Principe ad aver partorito la camorra, ma uno stretto intreccio che imparenta la criminalità cittadina, il potere coloniale spagnolo, Garibaldi e chi verrà dopo?
Esatto, che poi venga strumentalizzato il senso dell’onore contadino, o’ schiaffo va bene, ma l’interesse era economico, di potere… La criminalità organizzata ha utilizzato e utilizza la cultura, anche religiosa, per insinuarsi ancor più nel tessuto sociale e controllarlo…
Diciamo che il potere in generale fa così. Ecco che vediamo i leader politici ingozzarsi alle fiere di paese, farsi fotografare in prima fila alle processioni…
Lo diceva già Hitler nel Mein Kampf: come si fa la propaganda? Facendo crescere la paura e prendendo usi e costumi del popolo, usandoli come grimaldelli. Questo succede in tutte le dittature del mondo, perché - attenzione - qui la camorra, negli ultimi trent’anni, si è presentata come una vera e propria “dittatura militare”. Attenzione: prima la camorra era una parte estranea alla società. Se la gente sapeva che quello era un criminale nun c’aveva a che fa (cercava di tenersi alla larga).
E come mai poi la camorra è riuscita a sdoganarsi così tanto nella società?
(Dà un colpetto di nocche sul tavolo) Gli anni ’60!
Il boom economico...
Non fu soltanto un fatto di danaro, vede… Si trasformò in un fatto culturale. Chiunque in Italia doveva possedere qualcosa, perché era possibile. Se non lo facevi, eri fess’! Eri un pirla! Tu eri ciò che possedevi. La televisione, il telefono, a’ vespetta… I cosiddetti status symbol. Prima o’ contadino andava a zappare al mattino presto, contava solo a’ pagnotta, se ne fotteva d’o status symbol! Questo fatto culturale ha avuto conseguenze sul piano sociale e politico: a Milano, Genova e Torino si è espresso con la corruzione di massa… Qua, dove c’era già la tradizione della violenza c’amm ditt’ prima, l’organizzazione criminale ha detto: aspettate, ma se la cosa importante qui è fare i soldi, io li so fare meglio perché ho il coltello, la pistola, il kalashnikov.
Sintetizzando: siamo in un periodo in cui la proprietà diventa sempre più un fattore credenziale…
Io direi il possesso, nun è a proprietà, parliamo di possesso…
Di beni…
Soprattutto di quelli che servono per l’affermazione: o’vestito firmato, a’ scarpa, a’ macchina… I camorristi trovano il terreno fertile per presentarsi sulla scena e dire: o’vero, contano i soldi, ma io i soldi i’ saccio fa megl’! E, quindi, in qualche modo la società comincia ad accettare questi fenomeni, che diventano la massima espressione e’ chi è dirit’, di chi è capace, di chi è furbo.
Quindi, il casalese inizia ad accettare, a stimare il camorrista?
Accettare sì, stimare mai. Stimare mai! (Si aggiusta gli occhiali)
Mi spiega questa differenza?
La stima ha a che fare con la qualità morale. Un casalese non considererebbe mai un camorrista una brava persona, lo accetta, ecco tutto. Lo accetta sul piano sociale, ma è altamente probabile che, nel segreto della propria casa, dica: ma guarda chill’ che omm’ i’ niente!
Ed immagino che la camorra, oltre a queste “credenziali d’immagine”, per solidificare il suo consenso, abbia offerto anche qualcos’altro alla gente, una specie di manus manum lavat, insomma una serie di scambi senza contrattualità, io do a te, tu dai a me…
Uhm, non proprio. La camorra fa scatti di “qualità” quando arrivano grossi soldi in Campania: il terremoto dell’80. Nel ’76-’77 entrano in funzione le regioni che diventano altri luoghi di spesa, altri posti attraverso cui passano le risorse… Tutolo, un boss, mette insieme diseredati da tutta la Campania, fa un esercito per occupare tutti gli spazi di finanziamento del dopo terremoto. Lo fa anche arrivando ad accordi col governo centrale, con tutta la vicenda dell’assessore Cirillo… In questa fase, però, la camorra ha già subito da almeno nove, dieci anni, l’influenza forte di Cosa Nostra.
Quando comincia l’interesse di Cosa Nostra sulla Campania?
Nell’immediato dopoguerra, quando vanno in crisi i porti del Nord Africa come punto di smistamento del commercio clandestino del tabacco. Napoli è un porto centrale nel Mediterraneo, riscuote l’interesse per essere il punto di riferimento dello smercio. All’epoca non c’era tanta cocaina, eroina, i sold’ se facevano co’ tabacc’! A maggior parte di questo tabacco era di contrabbando perché così volevano i monopoli. La Philip Morris voleva che arrivasse tabacco attraverso il contrabbando perché così sparagnavano nu sacc’ i tass, no! Vedi che c’è sempre un rapporto con chi detiene i poteri reali (ride compiaciuto). La mafia poi è interessata al mercato napoletano perché questo diventa il centro nevralgico del commercio di sigarette. Si apre lo scontro con un altro gruppo criminale, quello dei Marsigliesi, un clan della città francese di Marsiglia… Anche loro avevano interessi…
Ma vincono i mafiosi…
Esattamente. La mafia nel fare questa guerra contro i marsigliesi si avvale de’ guagliuni, dei ragazzi locali… Come diceva Eisenhower, quando c’è una guerra, si selezionano nuovi quadri criminali, che si sono presentati per il loro carisma o per la loro capacità di usare la violenza… Tra questi ci sono personaggi come Nuvoletta, che la mafia pensa bene di aggregare. Poi c’è anche Bardellino e altri, che saranno aggregati via, via…
Questo accordo con la mafia permette anche di trasferire qui, immagino, tutto il know how, tutto il sapere e le competenze che la mafia siciliana aveva accumulato nel corso degli anni.
Certo, La mafia imprenditrice di Pino Arlacchi. Tutto questo è spiegato benissimo in quel bel libro.
Insomma, sindaco, al di là delle consuete attività criminali, come lo sfruttamento della prostituzione, il commercio di droga, i furti negli appartamenti, la Camorra e la Mafia si rendono conto che è più profittevole fare un serio bisinìs, insomma fare business, ottenere appalti, controllare il mercato del cemento…
Arrivano a controllare il mercato del cemento in ogni momento del ciclo, sì, sì… C’è un consorzio che è riuscito a controllare tutto il ciclo del cemento, dalla cava dove si produce la pietra alla gru che deve sistemarti casa, tutto collegato.
Sì, ma lo schema aggregativo di simili “consorzi” è fondato su quali basi? Non credo sulla volontà diretta dei singoli imprenditori!
Certo che no, certo che no. Diciamo… Su convinzione o costrizione, costrizione e convinzione, è logico, no!
Insomma, i consorzianti erano “convinti” con “ragionevoli argomenti”, rafforzati però, se necessario, con una 357 magnum! Ho capito bene?
Certo. I singoli imprenditori venivano convinti: costretti a cedere le loro aziende o a quotarle… A fare da prestanome… Presto l’organizzazione ha di fatto il monopolio del cemento, non solo nel casertano, ma anche in buona parte della provincia di Napoli e nel sud del Lazio: Gaeta, Formia… E poi sempre più a nord… I processi a Reggio Emilia lo dimostrano…
In che momento Casal di Principe diventa il centro indiscusso della camorra casertana?
Sempre in seguito alle guerre. Fu una combinazione, la guerra fra Cutolo e la Nuova Famiglia. Quando la Mafia vede che Cutolo sta cercando di prendere piede nella regione considerata sua, mette insieme tutte le famiglie di camorristi suoi avversari…
Per il ciclo: il nemico del tuo nemico è mio amico…
Esattamente. Quindi, nasce questo raggruppamento, questa confederazione che chiamano Nuova Famiglia, guidata da un gabinetto centrale di poche persone: c’era Alfieri, Nuvoletta, Bardellino… Si aprono le danze, bam, bam, bam (fa il gesto della pistola). Cutolo perde la guerra.
Il potere passa alla Nuova Famiglia…
Che intanto ha selezionato altri quadri dirigenti, secondo la teoria di Eisenhower.
Non si rivelerà, però, una famiglia granché affezionata...
Beh, come succede in qualsiasi consiglio di amministrazione, prima o poi c’è una resa dei conti tra i vincitori….
Mentre, però, nei consigli di amministrazione si alza la mano e si vota per stabilire chi è il capo tra i vincitori, nel mondo della malavita…
Alzano il kalashnikov!
Chi alza il kalashnikov?
Bardellino e Nuvoletta, i più forti, grazie anche ai rapporti che avevano con la mafia. Bardellino in Sud America era arrivato a controllare l’intero flusso di cocaina verso l’Europa. Aveva contatti e rapporti con tutti i cartelli sudamericani di produzione, aveva un controllo generale di tutta la commercializzazione. Nuvoletta altrettanto, perciò prima o poi lo scontro per la conquista dei mercati andava fatto. Ma non succede solo nel mondo criminale. Pensi alla “guerra” per i microchip tra Giappone, Stati Uniti e Italia, fatto a botte pesanti, coinvolgendo persino i servizi segreti. Alla fine i giapponesi hanno vinto la battaglia, gli americani si sono presi l’altro pezzo, che è tutto il resto dell’informatica. Chest è! La conquista dei mercati!
Chi vince?
Vince Bardellino, di San Cipriano, un paese qua vicino.
Ecco...
Riina, benché il centro di affari fosse a Palermo, non si muove da Corleone, Bardellino invece non rimane qui, ma commette un errore. Lascia qui i “fratelli” e lui se ne sta in Sudamerica.
Convinto, forse, come direbbe il poeta Puskin, che i fratelli avrebbero consegnato le spade. Invece…
Invece, c’è una nuova guerra per il potere, che sarà vinta da gruppi di criminali originari di Casal Di Principe e così nasce il Clan dei Casalesi. Bardellino viene ucciso in Sudamerica da Mario Iovine, che era stato suo vice…
La morte di Bardellino e di tutti i suoi fedelissimi permette l’ascesa di altri boss: Iovine stesso, Schiavone, detto Sandokan, Bidognetti e De Falco. Non entrerò nelle particolari dinamiche di potere tra loro, ci basti sapere che, come in una macabra partita di scacchi, ogni tanto dalle caselle sparisce qualche pezzo… E ci basti sapere che questa guerra tra boss appare tragicamente combinata con chi, a Casal Di Principe, avrebbe dovuto rappresentare lo Stato. Pare che un importante riunione chiarificatrice tra i più importanti esponenti del clan sia avvenuta a casa di un notabile democristiano il 13 dicembre 1990. Insomma, sindaco, vado per le spicce, come Le è venuto in mente di far politica in questo posto?
Come le dicevo sono nato nel 1950, il che significa che nel 1968 avevo diciotto anni. Come facevo a sfuggire a questo clima generale, a questo desiderio generale di rinnovamento? Alla lotta contro le oppressioni? Nel ‘76 mi sono iscritto al partito comunista. Nel ‘77 ho fatto il servizio militare, al ritorno, mi sono ritrovato segretario della sezione. Qui nel ’77-‘78 la camorra aveva fatto il suo salto di qualità, decidendo di candidarsi con una lista civica, per cui mi ritrovo che l’oppressore non è più il capitalista teorico, l’imprenditore…
Sì...
Qui l’oppressore non è la Fiat di Agnelli come a Torino, ma è la camorra, che, nel frattempo, aveva occupato militarmente la democrazia cristiana del posto…
In che senso "aveva occupato militarmente"?
Nel senso che pigliarono o’ segretario d’a Democrazia Cristiana, lo portarono n’campagna, glie mettetter’ na pistola n’capo e glie dicettero: tu si’ o’ segretario ufficiale, ma siamo noi che comandiamo!
Chiaro. E quanto durò l’amministrazione “democristiana” dopo questo…golpe?
Dal 1983 al 1984. I consiglieri comunali eletti con la DC dovevano essere sempre presenti a tutti i consigli comunali. Se un giorno si assentavano perché, che so io, avevano la diarrea, il giorno dopo si ritrovavano uno che gli diceva: sient’ don tizio se pigliat’ nu poco collera, la prossima volta cerchiamo di evitare… Qualcuno viene convinto con qualche pistolettata n’ta machina, così per rafforzare l’idea… Si va avanti così dall’82 fino al '91, due legislature piene.
Cioè fino allo scioglimento dell’amministrazione per infiltrazione mafiosa… Ed, in questi anni, voi comunisti siete la resistenza a Casal Di Principe…
Eravamo un gruppo di fortissima resistenza… Nell’83, pochi mesi dopo l’insediamento dell’amministrazione di cui parlavamo, noi abbiamo fatto una manifestazione anticamorra con la chiesa, in questo palazzo… Pochi giorni prima avevano trovato tre ragazzi bruciati. Erano spariti da 15 giorni… Poi ne faremo un’altra, addirittura in piazza, che si concludeva con una veglia in chiesa, perché si pensava che i preti potessero essere difesi dal loro abito, dal crocefisso… Colpire loro significava mettersi contro la gente. In questi anni io sono consigliere comunale di opposizione.
Ha ricevuto minacce, pressioni, in quel periodo?
Personalmente no. A qualcuno è venuta, lo so per certo, l’idea di eliminarmi o di farmi qualche “mala azione”. I capi, però, hanno pensato: ma vui fatel’ sbraita’, a noi l’opposizione ci serve, ci legittima. Certo moltissimi familiari e parenti mi chiedevano di farmi i fatti miei, quindi è probabile che abbiano tentato di farmi arrivare dei messaggi tramite loro, però mai direttamente. Nel 1989, però, succede qualcosa…
Uhm…
Cade il muro (di Berlino) e con esso cade la divisione del mondo in blocchi. Cade l’alibi di chi aveva stretto accordi con le mafie purché i comunisti non andassero al potere. Inoltre, si stava realizzando l’unificazione monetaria. In Europa, chi deteneva il potere economico, le grandi banche, i grandi gruppi industriali, esigevano dall’Italia che si liberasse il prima possibile delle Mafie, che rappresentavano una concorrenza sleale sui mercati, capirà.
I clan avevano rapporti con potenze di carattere generale, erano invischiati ovunque…
Il Clan dei Casalesi ha finanziato la guerra delle Falkland, sono stati trovati sanciprianesi con la borsetta piena di soldi che andavano lì. Per non parlare della guerra nei Balcani. Una volta fu intercettata, in provincia di Caserta, una macchina che sopra il bagagliaio teneva un missile terra-aria.
Insomma, c’era un clima nuovo, avverso alle mafie…
In questo clima nuovo, abbiamo le prime registrazioni antimafia. Quando qualche politico, per difendersi dalle accuse, dice che il suo governo è stato quello che ha fatto la prima legge contro la mafia, ha ragione, ma era anche vero che molto probabilmente aveva rapporti con la mafia prima. L'Europa ha preteso che l'Italia adottasse misure più stringenti nei confronti della criminalità organizzata. Se così non fosse stato il nostro Paese sarebbe rimasto in Africa e non avrebbe mai messo piede in Europa.
Ecco che negli anni ’90 abbiamo il cambio della normativa sugli enti locali, la legge sulla requisizione dei beni, il 41 bis… E Lei nel frattempo?
Io ero sempre consigliere. Tutto uguale, la svolta si ha nel ’90, quando viene ucciso un testimone di Geova a San Cipriano. Don Peppe Diana ed altri sacerdoti fanno un documento molto duro di attacco alla camorra. Noi come partito comunista arriviamo a fare un atto forte, non interpretato in modo giusto a livello nazionale: decidiamo di abbandonare il consiglio comunale…
Una specie di Aventino casalese…
Noi dicevamo con un documento: non vogliamo con la nostra presenza legittimare un potere criminale. Per Botteghe Oscure il nostro fu un atto di fuga, invece i camorristi capirono che quello fu un atto di coraggio. Nel natale del ’91, quando viene sciolto il consiglio comunale per infiltrazione mafiosa, esce un documento dei sacerdoti, di attacco forte: Per amore del mio popolo non tacerò, preparato da Don Giuseppe Diana e poi fatto firmare ai preti della forania...
Fu un documento epico, più forte di una mitragliata, distribuito nelle chiese affollate della notte di natale: si parlava della camorra usando parole come assenzio e veleno. Parliamoci chiaro, Lei vinse le elezioni comunali, di li a poco, soprattutto grazie alla Chiesa.
Certamente ero il candidato su cui la Chiesa aveva moralmente puntato, questo era chiaro a tutti. Passo il primo turno e vinco al secondo per soli 40 voti di differenza, fu un attimo di debolezza loro che mi permise di vincere. Così vado a fare il sindaco per 11 mesi…
Sindaco, dovrei chiederle un piacere.
Se posso, perché no!
Lasciamo un attimo da parte le ricostruzioni, il contesto… Cominciamo a trattare le emozioni, le sue… Don Peppe Diana…
(Il sindaco cambia tono, l’eloquio rallenta d’improvviso, quel nome s-blinda qualcosa che sino a quel momento era rimasto nascosto). Lo conoscevo da anni… Volendo… Certo, le emozioni… Insomma, don Peppe…
Grazie, sindaco.
Una volta entrai nel cortile della chiesa e lui stava seduto in mezzo a tanti ragazzi… Stavano discutendo del nuovo catechismo, che era uscito in quel periodo. Mi disse: aspetta n’attimo, siediti n’attimo qua. Mi diede un brano del catechismo, così i’ (fa il gesto di uno che passa un libro). Commentalo tu ai ragazzi, mi disse. Io? Io lo commento? (Ride). Io sono segretario della sezione del partito comunista, agg’ commenta o’ catechismo! Mi fissavano tutti. Dico: e va buo'. Leggo e faccio un mio commento. (Si emoziona visibilmente ed io con lui). Molti di quei ragazzi poi sono diventati consiglieri comunali con me.
Fu convincente, insomma…
(Fa una pausa. Si schiarisce la voce più volte). Poi quel giorno, era san Giuseppe… Il suo onomastico, tra l’altro… Ricevetti la telefonata… Così, così, così, così. (Si asciuga le labbra). Pensai di scappare… Chiamai mia moglie e dissi: prepara le valigie che il prossimo sono io. Le dissi di stare chiusa in casa coi ragazzini. Corro verso la parrocchia con la mia auto. Trovo un carabiniere fuori la porta della chiesa. Non c’era nessuno, erano le sette e mezza, otto di sabato mattina… Il carabiniere mi fa entrare. C’era il cadavere di don Peppe, lì a terra... Istintivamente feci per avvicinarmi al suo corpo, ma il carabiniere mi fermò… Mi spostai… Mi inginocchiai. Non so neanche se ho bestemmiato o ho pregato… Non lo so…
Chiaro…
Poi sono uscito fuori dalla chiesa… C’era un compagno, un bracciante che mi ha tenuto compagnia. È stato con me tutto il tempo. Io stavo… Eh, stavo come stavo… Dice che continuavo ad andare avanti e indietro e a dire: mo tocca a me, mo tocca a me…
Il panico…
No, no… (Si aggiusta di nuovo gli occhiali sul naso. Mi guarda negli occhi, forse per la prima volta). C’era qualcosa di più del panico. C’era la rabbia. Il desiderio di vendetta. A’ rraggia! Ecco che esce o’ casalese. Nun te fa metter’ a mano n’coppa a’ spalla! Nun te purta’ e’ schiaff’ a’ casa! Come ce l’aggia fa paga’! Era diventato un chiodo fisso: come ce l’aggia fa paga’!
(Fine prima parte)