I servi muti del nuovo millennio

Se non a tutti piace Uber...

    di Maria Regina De Luca

Ecco che ci risiamo, ecco la collettività gridare "al lupo" e stigmatizzare, ancora una volta, l’antinomia tra progresso scientifico e occupazione, meccanizzazione e manovalanza, elettricità e caldaia a carbone, motore e sudore (della fronte). Il lupo è oggi il robot che forse del lupo è più brutto, ma nasce domato da chi l’ha messo al mondo e che non è la lupa, ma la tecnologia al servizio dell’invenzione. Quest’ultima non fa rima necessariamente con disoccupazione, e il progresso può far rima con successo, ma i vocianti opinionisti che affollano la TV a "tanto all’ora" sembrano ignorare che, nei millenni, attraverso queste svolte più o meno epocali, l’uomo delle nevi è passato poi a homo faber e poi inventor e poi sapiens e ha saputo adattare l’ambiente ai suoi bisogni sempre più sofisticati, sopravvivendo a cataclismi di ogni genere.

Nel nome della propria sopravvivenza, forse, l’homo sapiens si è inventato il robot, il servo muto di oggi, tarchiato ensamble di acciaio fili e comandamenti (ben più di dieci) che lo mettono in grado di sostituire il suo creatore non solo nella faccende domestiche, ma in sala operatoria (come chirurgo), alla guida dei treni (come macchinista), presso infermi, bambini, handicappati vari e diversamente vivi come assistenti, balie (asciutte, per ora) e badanti, ma anche camerieri e caffettieri, in specie nel Cafè X sorto a San Francisco: trattamento ottimo, meno caro come lo è il robot rispetto all’uomo. Ancora per poco, perché lo stesso fondatore del microsoft, Bill Gates, ne chiede la tassazione in quanto sottrae posti di lavoro agli uomini. Amen, ma il vero cuore del problema ci sembra un altro, e nessuno ne parla: e se il robot impazzisce? E se il meccanismo si altera, se manca la corrente, se si spezza un filo, se accade un inghippo magari prevedibile ma non previsto dall’inventore che succede? Ecco che il robot-macchinista va fuori di testa e il treno all’incontrario va, ecco che si spana il robot-chirurgo e la sala operatorio si trasforma in una scena di Shining. Se impazzisce il robot-cuoco andiamo ai Borgia, e se impazzisce il robot-balia Erode perde il suo primato. Nel caso del robot-pilota siamo a Airport e del robot-architetto a Inferno di cristallo…

Nel dubbio, meglio evitare di assumerne, nonostante le referenze degli scienziati, e una certa riluttanza è lecita anche nei confronti degli autisti Uber (guarda caso, sede a San Francisco), che sostituisce al trasporto ordinario dei taxi quello privato: si tratta di un’applicazione di software mobile (app) che collega, tramite Uber, autista a passeggero e semplifica, in un certo modo, la procedura. Se il robot si finisce col capirlo, più difficile diventa capire l’utilità di chiamare il tassista per interposta app. E poi, perché non tener conto che sopravvive ancora una notevole fascia di persone di una certa età che preferisce chiamare il radiotaxi al farsi una carta di credito che spesso non saprebbe nemmeno usare? E i tassisti che scendono in piazza, sono proprio dei facinorosi o devono mantenersi a galla nel mare forza 20 della nostra economia? C’è ancora l’homo pensante accanto all’homo cliccante e messaggiante; c'è perfino chi, in tassi, si rilassa e che con Uber entrerebbe in una tensione forse maggiore di quella di prendere la metropolitana o l’autobus. E poi, procedendo per categorie, ve lo immaginate il gondoliere-Uber, e il barcarolo che già va controcorrente per conto suo? E i carrettini dei pupi siciliani, dei taxi, carrozzelle ischitani, e le guide turistiche? La par condicio assicurata alla categoria dei traghettanti da un posto all’altro, sotto qualsiasi forma, muterebbe la storia futura in cambio di qualcosa che per ora, sfugge a un’analisi generica. Ci vorrebbero analisi più approfondite dei meccanismi cerebrali della gente secondo l’età, affidati magari a un’app appena maturata. Gli opinionisti sono invitati a dire la loro, ma questa volta gratis.





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