Io esisto

Al Mac3 di Caserta la personale dellâ??artista milanese Paolo Maggis

    di Sara Giuseppina D'Ambrosio

Io esisto è il titolo della personale di Paolo Maggis, allestita alla galleria Mac3 (Museo Arte Contemporanea) di Caserta fino al 22 aprile. Un titolo dalla forte pregnanza emotiva che afferma l’esistenza come dato di fatto oggettivo. Una necessità, questa, probabilmente legata a quella rarefazione del soggetto frutto della realtà virtuale che sempre più influenza gli scambi sociali e la rappresentazione dell’Io.

Come ricorda Massimo Sgroi, curatore della mostra, l’arte è «fondamentalmente un progetto individuale» che risponde all’esigenza dell’artista di esprimere la propria esperienza. Effettivamente, il corpus delle opere esposte riflette un immaginario personale fatto per lo più di volti, teste, che sembrano voler assolutizzare il rappresentabile a quella porzione di corpo umano a cui da sempre si dona una preponderanza assoluta. In questa direzione vanno i piccoli (31x44 cm) oli su tavola della serie Head. Disposti in un’unica fila, ricordano gli avatar che allo stesso tempo ritraggono e riducono noi stessi quando interagiamo nei social network.

In realtà, però, l’utilizzo della tavola come supporto e la pennellata pastosa, che contraddistingue lo stile di Maggis, aprono ad una materialità consistente che va aldilà di quella immaterialità della dimensione virtuale. Questi volti abbozzati, cancellati, hanno in sé un forte legame con il passato presentandosi al fruitore con quell’alone sfumato dei ricordi più lontani e, talvolta, per questa ragione, più cari.

È proprio la pennellata pastosa a guidare nell’elaborazione visiva delle opere di dimensioni considerevoli. Essa impone, almeno per la prima parte del momento contemplativo, una debita distanza dall’opera che permetta, così, di coglierne con chiarezza l’immagine rappresentata e di comprendere lo stato (il mood) emotivo ed ambientale che da questa è trasmesso. Per questo tipo di lavori, l’artista, milanese di nascita ma totalmente europeo d’esperienza, visto i lunghi periodi soggiorno all’estero (adesso, ad esempio, vive a Barcellona), utilizza tele sulle quali la maggiore estensione permette frammenti del reale più ampi.

È il caso di The tree, the goat and the moon (200x300 cm) dove, in uno scenario notturno, la forte luce della luna, permette di scorgere il relitto di un albero su cui, inspiegabilmente, ha trovato riparo una capra. Dipinto seguendo le stesse cromature della pianta, l’animale ne diviene parte integrante e, insieme con quella sezione di troco dalle fattezze umane, suggerisce un’ibridazione naturale del vivente (della quale parla lo stesso Sgroi). Pure in A man who loved the trees e The Lord of the trees uomo e vegetazione si confondono, diventano tutt’uno, quasi a rimarcare dove continuare a cercare la chiave di comprensione dell’essere vivente, umano, animale o vegetale che sia.





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