Farsi capire

Per chi fa comunicazione

    di Silvio Fabris

Sin da ragazzo, se andavo al cinema e il film si rivelava una “bufala” o iniziavo a leggere un libro e non mi piaceva, le mie origini genovesi mi spingevano a sfruttare l’investimento” fatto sino in fondo…

Adesso non più. Mi sono ribellato perché ho deciso che non è giusto che sia io ad impegnarmi nella “decodifica” di una comunicazione che sovente è fatta ignorando le esigenze del “target” di riferimento, di chi riceve il messaggio. Mi capita spesso di imbattermi in articoli, trattati, filmati, convegni in cui la parola viene usata a solo ed esclusivo uso di chi la pronuncia. Evidentemente trascurando di pensare al pubblico che si ha di fronte. Si fa sfoggio di cultura, usando paroloni o si fanno riferimenti storici o letterari che solo alcuni eletti riescono a comprendere. E che dire dei lunghi brani in lingua straniera sbattuti lì senza preoccuparsi di fornire una traduzione? Le avete presenti alcune recensioni d’arte o prefazioni a libri? Bestiale!

Sono convinto che le parole siano strumenti meravigliosi che possono anche essere utilizzate bene.

Caro comunicatore, lo so che trasferire un messaggio, un concetto, un’emozione è cosa non facile. Ma sono troppo rispettoso del destinatario della comunicazione e sto dalla sua parte. Se lui non capisce non è lui che deve sforzarsi. Caro collega della comunicazione, se vuoi comunicare non c’è che una possibilità: la fatica di farsi capire falla tu.





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