Il Teatro Festival che di Napoli ha ben poco

Dalle location agli artisti, ecco la fotografia della kermesse che non parla alla città

    di Anna Maria Siena Chianese

Napoli Teatro Festival Italia ha inaugurato la sua ottava edizione planando sulla città da Sant’Elmo sul sostegno delle ali dei danzatori di Paco Dècina, dell’orchestra swing Uanema - citiamo per tutti l’impareggiabile clarino di Massimiliano Sacchi - dei palloncini che ne hanno accompagnato il varo. Sembra però che qualcosa non abbia funzionato nell’atterraggio perché non ci è sembrato si palesasse un progetto nella messa in scena degli spettacoli e nella scelta logistica che, nelle precedenti edizioni, aveva spesso svelato luoghi segreti della città ai suoi stessi cittadini.

In alcune di quelle sere, sottratto alla sua abituale funzione di stenditoio di condominio, il Teatro Greco dell’Anticaglia si ammantò di luci per far rivivere delle follie di un imperatore; il mare tra Posillipo e Nisida riacquistò con barche e canzoni l’antica armonia, San Gennaro diventò Superstar, il Palazzo Carafa aprì i suoi appartamenti in puro stile tardottocentesco borghese napoletano, presso la Chiesa di Purgatorio ad Arco venne approntata per tutti una zuppiera fumante di paccheri al ragù…Le strade erano piene fino a notte, non mancavano turisti e forestieri.

Acqua passata. Veniamo a questo Festival partendo da Villa Rhabani, gruppo in uno sbiadito interno della Capri inizio Novecento dove, tra personaggi forse ispirati a quelli di Compton Mackenzie, di Roger Peyrefitte, del tenero Fersen, immerso nel suo sogno di junesse d’amour, prende vita solo la bellezza e lo charme della protagonista. Il nostro Goldoni figura con le sue battute e i suoi caffè, le sue baruffe e i suoi locandieri appartenenti alla vita reale, a quella borghesia che va avanzando nella decadenza della nobiltà. Funziona al meglio possibile, e vanno lodati interpreti e regista, Malacqua, testo ricco di trappole interpretative dove brilla una frase che considera l’alluvione una visita del mare ai bambini dei vicoli, bloccati dalla malacqua imperversante. Varrebbe la pena, su tali parole, istituire una tavola rotonda, ma il poco spazio per queste piccole note ci consente solo di considerarla di auspicio ai futuri Napolifestival che uno spirito meno esterofilo e più mecenatizio potrebbe indurre ad attingere, dall’ infinita messe dei giovani talenti cittadini, che hanno come spazi chiese sconsacrate e strade pubbliche, i prossimi autori, attori, musicisti, spalancando al Festival la città in ogni suo vicolo, palazzo, chiesa, struttura, strada, mare, specialmente mare, molto più accessibile da Castel dell’Ovo, enigmaticamente escluso da questa edizione, che da Sant’Elmo. E che, almeno per questi mesi, si lascino riposare i teatri istituzionali.

Il Napoliteatrofestival porta nella sua sigla il nome di una città che tutta, in ogni suo aspetto, in ogni sua pietra, dev’esser qui protagonista. Le navette, accessibili solo ad alcune categorie di spettatori reclutati nelle vie deserte e condotti in spazi chiusi, non danno visibilità all’evento, nè a chi ha lavorato nel suo nome, né alla città che, a tal punto, potrebbe anche non figurare più nella sua sigla. Che il Festival vada dai giovani di Napoli, come il mare andò dai bambini del Pallonetto secondo la splendida fase di Nicola Pugliese che basterebbe da sola a siglare un capolavoro.





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