Essere felici: una scelta consapevole

Il libro di Lorenza Gentile traccia la strada per la conoscenza di sé

    di Maria Regina De Luca

La felicità è una storia semplice: un assioma che tutti vorremmo assoluto e senza prova contraria, è anche il titolo del secondo libro di Lorenza Gentile, giovane scrittrice che muove con sagacia le sue allegorie sulla scacchiera della narrazione uscendone vincente. Il suo romanzo, percorso da una vena di arguzia, di delicata ironia e di un costante umorismo, “si legge d’un fiato”, ma lascia la sua traccia nel lettore perché l’autrice ha una complice insuperabile e infallibile: la vita che, pur nella leggerezza della scrittura, si palesa con le sue verità nascoste, le sue promesse spesso non mantenute, le sue amarezze, i suoi sogni perduti e una piccola speranza che a volte premia chi le è meno devoto. La molteplicità linguistica e sintattica della scrittura svelta e invitante è parte integrante del valore del libro insieme alla scelta dei personaggi, che non potrebbero essere più diversi tra loro come genere, modi di vita e di essere, ma che vengono accumunati da qualcosa che nessun essere umano può scrollarsi di dosso: la terra di nascita, la radice che non molla la sua presa, che non si lascia estirpare. Ed è alla riappropriazione di questa che il protagonista, Vito, accompagna la nonna. È un viaggio iniziatico verso la conoscenza di se stesso, per Vito, e per la nonna un pellegrinaggio a tappe obbligate per un’ultima chance di vita. Il viaggio per vedere dall’alto le città capoluogo d’Italia e quelle piccole, ma non meno pregnanti, ha come ultima tappa Gibellina, la città invisibile tenuta viva solo dalle memorie e che, misericordiosamente, svanisce non prima  di chi l’aveva eletta per realizzarvi un sogno durato tutta la vita. Il richiamo delle radici passa in eredità a Vito insieme ai beni della nonna che lo rendono libero di scegliere, in un soprassalto di consapevolezza, la sua verità: il ritorno all’antico amore e all’antichissima terra ai quali ha sempre appartenuto. Un altro personaggio segue a latere la storia, facendo capolino nei momenti-chiave della narrazione: Calipso, l’iguana, sorniona e ambigua, capace di irretire come la maga della quale porta il nome ma anche di lasciare libero il suo eroe e di riapparire sotto un’identità più rassicurante. Infine il cerchio è chiuso, le scelte sono fatte, basta sapersi calare nel brulichio della vita senza guardarla dall’alto, ascoltarne il sussulto segreto che risponde al nostro batticuore e acchiapparne al volo l’invito. Così la casa di Palermo, abbandonata come una vita che rinuncia all’amore, diventa il luogo della realizzazione di due vite che avevano tentato di trapiantare il loro cuore intriso d’aria di zagara e peperoncino, di mare e di sole in terre diverse, sperando in un’impossibile rifioritura. E se l’iguana, nella casa riscattata dall’abbandono e nel nome di un amore finalmente adempiuto come una promessa, o come un voto, si chiama Elvira, allora, e veramente, la felicità diventa una storia semplice.





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