C'era una volta il videonoleggio

Quando, senza streaming, per guardare un film dovevi uscire di casa a comprarlo

    di Antonio Di Dio

Sono passati ormai anni da quando aprendo il portafoglio non mi capita più di tirare fuori la tessera del videonoleggio, anni in cui, in realtà, molte cose sono cambiate, molte nostre abitudini hanno lasciato spazio a pratiche di visione molto diverse, se si pensa che oggi con una semplice connessione possiamo guardare tutto attraverso il nostro smartphone con il semplice sfiorare lo schermo. Spesso mi chiedono come abbia fatto ad aver visto tutti i film che ho visto, se solo penso che durante gli anni del liceo la media era di sette, otto film a settimana in verità una spiegazione c’è, e non è frutto di chissà quale predisposizione al cinema io nutrissi fin da bambino. Credo sia stato più uno stupido scherzo del destino a dir la verità, quello di, puntualmente, ritrovarmi ad abitare accanto ad un videonoleggio, lungo il mio peregrinare per l’Italia. Uno strano scherzo, se si pensa che oggi mi ritrovo qui a scrivere di cinema o di vecchie pratiche legate ad esso, quando all’epoca l’unica cosa che mi interessava davvero era il calcio.

Un “film”, fino a quando l’avvento dello streaming illegale non ne ha fatto carne da macello, poteva definirsi un oggetto nel vero senso della parola, oltre che qualcosa da vedere, implicava una sua materialità e un suo specifico supporto, che andava dal Vhs al Dvd, un qualcosa da tenere gelosamente tra le mani come un Santo Graal. La tv generalista aveva appiattito da anni i gusti degli sprovveduti “telenauti” entrati nel mondo dei reality, le varie tv a pagamento erano usate solo per seguire lo sport. E allora due erano le possibilità per chi non poteva permettersi il cinema perché troppo caro o perché si era troppo piccoli: l’edicola o il videonoleggio, e io scelsi la seconda. Mi bastava scendere le scale del palazzo e ci cascavo praticamente dentro, come un bambino in una vasca piene di palline colorate. Nonostante la vicinanza, non credete era cosa da poco l’uscita per noleggiare un film. Bisognava anzitutto alzarsi dal divano, vestirsi, scendere in strada ed entrare in negozio, girare per quegli scaffali cosi enormi che non facevi in tempo neanche a vederli tutti i film, e poi immergersi completamente nelle trame, ore e ore di trame con la speranza che non deludessero le nostre aspettative di carnefici della pellicola cinematografica.

Era come un viaggio, un viaggio fatto di movimento, di incontri, anche di sguardi molto spesso, di parole con persone a cui si poteva consigliare un film da prendere, o da non prendere il più delle volte, una gestualità sua il rito del noleggiare si portava dietro. Era come entrare in uno spazio altro fatto di odori, suoni, di una tattilità tutta sua, certo una ritualità costosa se pensare che per un film ci volevano credo intorno ai due, tre euro per un paio di giorni di noleggio, un costo eccessivo se si pensa che oggi gratis possiamo vedere tutti i film che vogliamo. In effetti l’enorme sviluppo della rete in questi anni ha rivoluzionato molto le nostre vite, le ha compresse a tal punto che stando semplicemente a casa possiamo creare un mondo a sé in grado di darci tutto il necessario.

Guardandomi indietro il videonoleggio è solo la punta di un mondo che lentamente sta scomparendo, la velocità con cui oggi ci rapportiamo alla vita è impressionante, la superficialità con cui ci guardiamo intorno è aberrante. E allora se il rito, la scoperta, il contatto si perde cosa ci rimane? Alcuni studiosi di cinema ci parlano di un’esperienza totalmente cambiata anche se il senso di un film rimane lo stesso, la sua sostanza si dice resta invariata. Io credo che a farne le spese non sia il film in sé, che rimane come prodotto dell’universo audiovisivo destinato al grande pubblico, quanto quel mondo che circonda e che ha formato le vaste generazioni di “cinepateci”, un “film” oggetto fatto di illusione, di pratiche di estraniamento, di odori, di una fisicità necessaria come anche la sala ad esempio che sempre più sembra avviarsi sul viale del tramonto, e allo stesso tempo di discesa nel profondo di un mondo quello del cinema che sempre più si allontana dalla poca consapevolezza di sogno a cui dedicarsi interamente, e sempre più viene assorbito in quella realtà fatta di byte di superficie, dove la vista ha completamente anestetizzato gli altri sensi, riducendoci a semplice macchine del consumo seriale atrofizzate e immobili. 





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