LIBRI Il viaggio dolce

La scrittrice Marina Plasmati ripercorre il soggiorno napoletano di Leopardi

    di Maria Regina De Luca

"Tutti sanno con Orazio, che le leggi senza i costumi non bastano e da altra parte che i costumi dipendono e sono determinati e fondati e quindi principalmente e garantiti dalle opinioni". Tratta da "Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani", la frase sembra scritta oggi, ma risale a circa due secoli fa e appartiene a uno dei nostri semprevivi poeti, Giacomo Leopardi.

Nel suo accurato libro "Il viaggio dolce", presentato alla Società Dante Alighieri di Roma da Lamberto Lambertini, la scrittrice Marina Plasmati segue il poeta nel suo viaggio verso il Vesuvio e verso la fine della vita. Nell’aprile del 1836, Leopardi giunge con l’inseparabile amico Antonio Ranieri a villa Ferrigni, sulle pendici del Vesuvio, presso la cittadina di Torre del Greco. La tappa, dalla primavera a parte dell’estate del 1936, sembra concedere al poeta una pausa nel dolore e l’ambiente, la stagione e il clima sembrano restituirgli la forza e la curiosità di gustare ancora la vita, pur procedendo nella ricerca dei significati di essa.

La familiarità del rapporto con le persone che si prenderanno cura di lui finisce per diventare un’affettuosa confidenzialità, che non varca mai i limiti del rispetto che si deve a un ‘ospite di riguardo’. Ma il giovane ‘piccolo, storto, dal pallore innaturale sul volto’ che ‘cammina come un moribondo che volesse risparmiare ogni passo concessogli prima della fine’, diventa ben presto ai loro occhi un uomo da ascoltare, da ammirare e da amare. Nella bellezza del paesaggio dove la violenza del vulcano fumante è l’allarme permanente da spegnere nell’azzurra freschezza del mare, dove la notte ‘accende la luna di un colore bianco opaco’ e dove il maggio sembra risvegliare nel poeta ‘un vigore antico, una ebbrezza di vita dimenticata da anni’ il ricordo della giovinezza si ravviva, anche per la vicinanza del giovane contadino che cerca la sua compagnia con la devozione di un allievo, e riprende la forza di palesarsi.

Pur non avendo mantenuto le sue promesse, la giovinezza ha tuttavia lasciato sopravvivere gl’inganni, i "dolci, ameni e lacrimati inganni" ai quali il soggiorno a villa Ferrigni restituisce un trepido vigore rinnovellandone la nostalgia. Ben più vividamente, resterà nel cuore e nello spirito del poeta il profumo della ginestra che sparge a pene mani il suo oro sulla terra brulla, già provata dalla lava delle eruzioni. Gli resterà anche la vampa rossastra del vulcano, il bianco lume di luna, il ricordo di una contadinella che si chiama Silvia: tutti sassolini bianchi per ritrovare, nel dolore che lo aspetta, la strada dei piccoli sussulti di felicità che la vita ancora ogni tanto gli dona, piccole ancore alle quali aggrapparsi per riconoscere alla vita la sua forza risanatrice, di là dalle promesse non mantenute.

A distanza i due secoli, il profumo della Ginestra non svanisce. La lunga primavera vesuviana del poeta ha donato al mondo una delle liriche più complesse e accorate della sua opera, oggetto di studio e fonte di ispirazione per le generazioni future. Oggi l’antica villa Ferrigni è villa La Ginestra dove in primavera, durante la Stagione che vede protagoniste le splendide Ville Vesuviane che, alla pari delle Ville Venete, costituiscono una testimonianza della storia del luogo di incomparabile splendore architettonico, visitatori e studiosi vi si recano per ascoltare le Letture leopardiane. Tra il Vulcano e il mare, i versi risuonano con l’attualità che è propria di tutta l’opera di Leopardi, e che tuttora è esempio ai giovani di spirito civile, di forza di resistere, di desiderio e d’amore di vita e per la vita.





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