Metodo Kominsky, arte di invecchiare

Viaggio nella terza e ultima stagione della serie Netflix con Michael Douglas

    di Giordana Moltedo

La terza e ultima stagione de Il metodo Kominsky è riuscita a scompaginare ancora una volta le carte, assicurandosi l’ennesimo successo. Un risultato che non era del tutto scontato, vista l’uscita di scena di Alan Arkin, nella serie Norman Newlander, amico e storico agente dell’ex star di Hollywood Sandy Kominsky, interpretato da Michael Douglas. Una coppia, che nel corso delle prime due stagioni della serie, è riuscita a rendere ancora più iconici dei dialoghi che, per tempi e intenzioni, hanno scardinato con intelligenza il velo che la società occidentale ha quando si affronta la tematica della terza età.

Ma la terza e ultima stagione paradossalmente non ha risentito di questa uscita di scena e l’intuizione geniale  sta nel fatto di aver spostato l’azione della storia nella sfera familiare di Sandy, facendo entrare definitivamente in scena un altro personaggio graffiante, la ex moglie di Sandy, interpretata da Kathleen Turner. E la forza di questa serie sta proprio nella scrittura e nel linguaggio dove l’ironia, a tratti graffiante e dissacrante, si mescola alla giusta malinconia dettata dagli accadimenti, spesso non piacevoli, che affrontano i protagonisti. Non a caso una delle battute che più restituisce i toni della serie è quella pronunciata dal protagonista Sandy, quando afferma che gli eventi ai quali sta partecipando di più nell’ultimo periodo sono i funerali, tra cui quello del suo amico Norman.

Il linguaggio dissacrante di Sandy, in realtà diventa un ottimo espediente per una riflessione di portata generale sulla società odierna. Hollywood, mondo del quale faceva parte Sandy e a cui ambiscono gli allievi del suo corso di recitazione, è descritta come una macchina cinica, dove ciascuno pensa solo al proprio successo. E nella critica alla società odierna non può certo mancare la famiglia, con la figlia e il nipote di Norman che più che addolorati dalla perdita, sembrano interessati solo ad ottenere l’eredità per campare di rendita.

Il fatto che sia Sandy, un uomo alla soglia degli ottanta anni, a trovarsi nel mezzo di queste dinamiche che affronta con un registro ironico, cinico e fuori dai canoni del politicamente corretto, non è frutto del caso. E forse, per comprendere al meglio questa dinamica, è il caso di spostare lo sguardo a casa nostra e in particolare nel mondo del piccolo schermo nostrano. Pensiamo ad Ornella Vanoni o ad Orietta Berti che, giunte ormai in una fase della loro vita dove fama e successo non sono messe più in discussione, si possono permettere il lusso di andare ospiti in una trasmissione e pronunciare, senza tabù e censure, tutto ciò che passa loro per la mente. Forse, il tutto, è figlio del fatto che, giunti ad una certa età, inizia una graduale rimozione dei filtri e dei condizionamenti dettati dall’esterno.

Ma chiudendo questa divagazione molto nostrana, molteplici sono i testi e i sottotesti che si possono evincere dalla visione de Il metodo Kominsky, come ad esempio la possibilità di un riscatto personale che può arrivare anche nella terza età. Su quest’ultimo punto il rischio di uno spoiler è dietro l’angolo.  E allora non ci resta che appellarci ad un altro insegnamento di questa serie, e cioè che ogni qualvolta che entriamo in un bar e ordiniamo Jack Daniels e Coca Cola, dobbiamo chiedere al barista di sostituire quest’ultima con una Dr Pepper e brindare alla salute di una serie, che, con il passare degli anni, ci fa sentire come Sandy: ironici, taglienti e perché no, forse un po’ cinici nell’osservare il mondo.





Back to Top